Prima del mistero del Golgota gli uomini percepivano il mondo in altro modo che dopo il mistero del Golgota

O.O. 183 – Il divenire dell’uomo – 24.08.1918


 

Chi vuole comprendere l’epoca in cui vive, deve farlo a partire da più ampi nessi cosmici.

La limitatezza dell’epoca contemporanea

sta proprio nel non volersi spiegare gli impulsi, le forze che sono all’opera nel presente,

a partire da un contesto più ampio.

• E, per comprendere il tale o tal altro elemento che agisce nel presente,

sarà sempre e continuamente necessario rifarsi, in particolare,

alle circostanze attraverso le quali l’evoluzione dell’umanità è passata all’epoca del mistero del Golgota.

 

Questo mistero del Golgota lo abbiamo veramente illustrato dai più disparati punti di vista e abbiamo visto quanto profondamente, quanto significativamente incida in tutto il percorso evolutivo dell’umanità, in tutta quanta la sua evoluzione.

Sappiamo che prima del mistero del Golgota gli uomini percepivano il mondo, lo concepivano, in altro modo che dopo il mistero del Golgota. Naturalmente non si è passati all’improvviso da una condizione all’altra. Ma, a un esame retrospettivo, emerge proprio ciò che abbiamo illustrato dai più disparati punti di vista.

Oggi, cercando un primo elemento su cui basare le considerazioni che seguiranno, vorrei richiamare l’attenzione su una cosa in particolare.

 

Se consideriamo l’attitudine, la costituzione delle anime umane anteriormente al mistero del Golgota, possiamo dire in generale che, nell’ambito dell’umanità civile, di quell’umanità dunque dalla quale è discesa l’umanità civile dei nostri giorni, prima del mistero del Golgota era presente nelle anime una certa capacità di penetrare i misteri del cosmo, del mondo spirituale.

 

Gli uomini vissuti prima del mistero del Golgota non levavano gli occhi al firmamento come leva gli occhi al firmamento l’uomo di oggi, e per loro era pressoché naturale non fare così. Oggi, lo sappiamo bene, l’uomo guarda al firmamento dicendosi: alla nostra Terra sono collegati alcuni altri pianeti che ruotano insieme con essa intorno al Sole; poi ci sono innumerevoli altre stelle fisse che hanno a loro volta i propri pianeti. – E se poi egli riflette bene a ciò che ha in mente di preciso quando pensa queste cose, deve riconoscere che la sua idea è quella di un grande meccanismo universale.

 

Del fatto che lì operi e agisca anche dell’altro, oltre alle forze di questo grande meccanismo universale, l’uomo contemporaneo si rende davvero ben poco conto. Per l’uomo vissuto prima del mistero del Golgota la cosa era più o meno naturale.

Per lui, in specie, era naturale che il Sole ad esempio non rappresentasse unicamente ciò che rappresenta per il fisico moderno, grosso modo una sorta di globo incandescente sospeso nello spazio; l’uomo vissuto prima del mistero del Golgota sapeva invece esattamente che

il Sole di cui parla la fisica, questo Sole, è solo un elemento del Sole considerato nella sua totalità.

 

Alla base del Sole stanno un elemento animico e un elemento spirituale.

E l’elemento spirituale che sta alla base del Sole

il sapiente greco lo considerava nientedimeno che il Bene universale,

il Bene del mondo, il Bene che indiviso compenetra il mondo.

• Tale era per lui lo spirito del Sole.

 

Al sapiente greco sarebbe sembrata una superstizione colossale pensare semplicemente, come fa oggi il fisico,

a un globo incandescente sospeso là fuori nello spazio; per lui invece questo incandescente globo sospeso

era la rivelazione del Bene indiviso che agisce al centro del mondo.

• E a questo Bene centrale, che è di natura spirituale,

è collegato a sua volta un elemento animico: Helios, come lo chiamavano i Greci.

• E il Sole fisico veniva soltanto come terzo elemento, come espressione fisica del Bene e di Helios.

 

Dov’è il Sole, dunque, l’uomo vedeva allora una realtà triplice.

E a questa realtà triplice, che gli antichi avevano visto nel Sole,

gli uomini di pensiero appartenenti all’epoca del mistero del Golgota

– dotati della conoscenza del mistero del Golgota, dotati della conoscenza dei misteri antichi -,

a questo mistero triplice del Sole quei sapienti associarono il mistero del Cristo, il mistero stesso del Golgota.

 

All’adorazione del Sole era legata, per coloro che sapevano qualcosa, l’adorazione del Cristo.

Alla saggezza del Sole, sempre per coloro che sapevano, era legata la saggezza del Cristo.

 

Ma perché si avesse una percezione naturale delle cose di cui ho parlato adesso, per sentirle come un che di ovvio, era precisamente necessaria la costituzione dell’anima che esisteva allora. Questa costituzione dell’anima scomparve. Non esiste più già dall’ottavo secolo avanti Cristo, dal 747 – è questo il vero anno della fondazione di Roma – avanti il mistero del Golgota. Con la fondazione di Roma scompare in effetti l’antica possibilità di vedere fuori, nel cosmo, l’elemento spirituale. Con l’ingresso di Roma nella storia fa il suo ingresso nell’evoluzione dell’umanità quello che possiamo chiamare l’elemento prosaico.

 

I Greci per esempio serbavano ancora, in tutta la loro concezione del mondo, la possibilità di vedere dietro il Sole quegli altri due Soli, il Sole animico e il Sole spirituale. E solo perché il mistero del Golgota non è stato affatto inserito nella sapienza greca e nella sensibilità greca, bensì nella sapienza e nella sensibilità romane, è avvenuto che si siano rotti i ponti con la nozione del legame fra il Cristo e il Sole spirituale. I Padri della Chiesa e i Dottori della Chiesa, in particolare, hanno dovuto darsi da fare per occultare il mistero del Sole, per ottenere che l’umanità lo dimenticasse, per impedire ch’esso venisse alla luce. Per l’intero corso dell’evoluzione del cristianesimo, come è d’uso chiamarlo, bisognava in certo qual modo stendere un velo sulla profonda, importante, compiuta sapienza relativa al legame del Cristo con il mistero del Sole.

 

Se dovessimo definire il compito della Chiesa, di quella Chiesa che è nata dall’inserzione del cristianesimo nella romanità, dovremmo farlo con queste parole: la chiesa cristiana improntata da Roma si era data specificamente il compito di occultare quanto più possibile il mistero del Cristo, di farlo trapelare quanto meno possibile. L’assestamento subito dalla Chiesa ad opera del romanesimo si è rivelato particolarmente idoneo a far sì che gli uomini sapessero il meno possibile del mistero del Cristo. La Chiesa era diventata così un’istituzione volta a tenere segreto il mistero del Cristo, volta a lasciarne apparire nel mondo il meno possibile. Questo è qualcosa di cui oggi l’umanità deve avere un quadro sempre più chiaro, perché deve aprirsi un’epoca che sia nuovamente in grado di operare con dei concetti diversi da quelli romani. I concetti romani hanno precisamente una loro rigidità di confini, di contorni, una loro rigidità cadaverica.

 

I concetti che si elaborano ad esempio per comprendere l’uomo nel suo vero essere, come ve l’ho disegnato, come ve l’ho schizzato qui alla lavagna una settimana fa, inserito diciamo così nella sua aura normale, i concetti che sono necessari a riafferrare la vera realtà dell’uomo e quindi a comprendere in certo modo la vera realtà del mondo, questi concetti devono essere fluidi, non possono avere contorni rigidi, poiché la realtà non è qualcosa di statico, ma qualcosa che è in divenire. E se con i nostri concetti e le nostre idee vogliamo afferrare la realtà, dobbiamo seguire con questi concetti il suo flusso, il suo divenire.

 

Se questa fluidità dei concetti non viene tenuta nella debita considerazione, succede quello che oggi, purtroppo per l’umanità, è dato osservare un po’ dappertutto.

Prendiamo un fenomeno che oggi si impone senz’altro ad osservatori del mondo un po’ attenti, ad osservatori un po’ svegli. Si tratta di quel che segue.

 

In tutto il mondo abbiamo fra noi degli studiosi, abbiamo studiosi nei campi più disparati. Questi studiosi sono i tutori della scienza, i suoi custodi come si suol dire, e l’umanità del nostro tempo, che pure non accetta il principio di autorità e ha messo al bando la fede basata su quel principio, crede nondimeno alla lettera a tutto ciò che viene sostenuto dagli studiosi delle varie discipline. E ogni studioso è pronto a credere, purché esuli dall’ambito della propria disciplina, a tutto ciò che sostengono gli altri. In questo stato di cose gli uomini oggi preferiscono non addentrarsi, perché, se vi si addentrassero, non potrebbero non rimanere colpiti da quanto la nostra cultura appaia sfilacciata e caotica.

 

Eppure ci è capitato, per esempio, di fare un’esperienza come la seguente. Supponiamo che uno di questi studiosi – potremmo sceglierlo in qualsiasi campo – coltivi come propria specifica disciplina, mettiamo – voglio prendere qualcosa di originale -, l’egittologia. In tal caso la sua professione consiste nell’insegnare alle altre persone, che non possono dedicarsi allo studio delle cosiddette fonti, quelle che sono le caratteristiche peculiari del popolo egizio, nonché nell’istruirle sui rapporti del popolo egizio con gli altri popoli dell’antichità. La gente è tenuta a credere alla lettera a quel che egli dice, perché quest’uomo è una vera autorità nel campo dell’egittologia. Ma ai nostri tempi è successa una cosa sciagurata: moltissimi di questi studiosi, esponenti di siffatte discipline specialistiche, anziché tacere si sono pronunciati su temi che esulano dai loro settori di competenza. Sarebbe davvero stato meglio che avessero taciuto, ma non l’hanno fatto: sotto l’impressione degli eventi odierni hanno applicato per esempio modi e forme di pensiero della propria disciplina specialistica allo studio del proprio popolo e dei suoi rapporti con gli altri popoli. E tanto basta per darci modo di vedere che assurdità si riescano a dire.

 

A questo punto bisognerebbe trarre delle conclusioni alle quali in effetti si può realmente arrivare. Perfino chi è persona di un certo valore, poniamo, nel campo dell’egittologia, e riguardo alle caratteristiche del popolo egizio e al suo rapporto con altri popoli ha idee che vengono generalmente considerate inoppugnabili, perfino lui oggi si mette d’improvviso a dire nient’altro che assurdità sul proprio popolo e sul rapporto del proprio popolo con gli altri popoli. Bene, credete che degli Egizi e delle loro relazioni con altri popoli possa allora parlare e aver parlato con cognizione di causa?

 

Quando oggi Balfour parla del rapporto del suo popolo con il resto del mondo, o quando Houston Stewart Chamberlain dice in continuazione cose senza senso sul rapporto degli uomini con gli altri uomini, qualcuno potrebbe arrivare in certo modo a scoprire, anche senza pensarci su, che certa gente dice delle assurdità, delle perfette assurdità! Ma adesso Chamberlain ha scritto I fondamenti del XIX secolo e un gran numero di altri libri, che non offrono la possibilità di un riscontro con la storia. Naturalmente le stesse, identiche assurdità.

 

È ormai giunto il tempo del discernimento, e in specie del discernimento volto finalmente a capire che non importa semplicemente formulare giudizi i quali abbiano un loro limitato valore per il fatto di essere veri entro un campo definito – quasi tutti i giudizi lo sono, entro un campo definito è vera anche la cosa più falsa -, ma importa ricercare in tutto e per tutto quella fluidità dei giudizi che può essere trovata soltanto grazie alla scienza dello spirito, che penetra nella realtà.

 

Sono davvero sorprendenti le collisioni fra pensiero sano e pensiero moderno che vengono a galla proprio in questo momento. Si è udito negli ultimi giorni di una discussione religiosa che ha avuto luogo a Pietroburgo – o Pietrogrado, come si è detto per un certo tempo, non so se adesso si dica di nuovo Pietroburgo -, comunque, di una discussione religiosa che ha avuto luogo nella ex San Pietroburgo. Si è avuto notizia di una discussione religiosa proprio nel cuore del bolscevismo. Lì, hanno parlato della religione e della sua evoluzione socialisti, popi e, com’è ovvio, molti semplici borghesi. Naturalmente non hanno detto cose particolarmente intelligenti. Dalla discussione che si è tenuta, e che naturalmente risentiva del clima attuale, ma a quanto pare si basava totalmente sui rigidissimi concetti di un tempo, potremmo comunque imparare alcune cose. Un pope, per esempio, vi ha sostenuto qualcosa di estremamente interessante. Il pope si sente in dovere di dire alle sue pecorelle quello che ha detto d’abitudine fino a oggi. E fino a oggi ha detto naturalmente che tutto ciò che è al mondo, lo zarismo e tutto, com’è logico viene da Dio. Ma oggi che cosa può fare il bravo pope? Quello che era abituato a dire prima alle sue pecorelle – adesso non sono più pecorelle – deve naturalmente salvaguardarlo almeno in qualche misura, perché proprio non vuole passare a concetti più moderni. Allora dice: “Il mondo è da Dio, tutto è da Dio; poiché oggi abbiamo un governo sovietico, anch’esso è da Dio. Il bolscevismo è stato mandato all’umanità precisamente da Dio. Poiché tutto è da Dio, è da Dio anche il bolscevismo”.

 

Che cos’altro deve dire? Sono pienamente convinto che la conclusione possa essere estesa ancora più in là: perché non si dovrebbe poter affermare con ogni plausibilità che il diavolo è da Dio? Il diavolo è insediato da Dio, stando proprio alla medesima conclusione! È dunque il momento di andare davvero più a fondo, una buona volta, in ciò che è necessario. Questo incontra naturalmente in tutti i campi la più risoluta ostilità. Ma non è possibile dormire, una volta assunto il compito di partecipare a questa trasformazione della capacità umana di formare rappresentazioni.

 

Taluni concetti che sono stati elaborati dal materialismo, e sono considerati assolutamente inconfutabili, rientrano fra le cose che dovrebbero in qualche modo venire radicalmente superate. Nulla di ciò che risale alla cosiddetta autorità della scienza ricorre oggi più frequentemente di quella che viene chiamata legge della conservazione dell’energia e della materia, o semplicemente conservazione di energia e materia. A questo concetto l’umanità si è affezionata in modo del tutto speciale.

 

La concezione del mondo che si è sviluppata esclusivamente in senso meccanicistico, nel senso della fisica, vuole chiudere gli occhi davanti alla presenza dello spirito. Poiché non vuole riconoscere lo spirito, non può neppure attribuirgli durata, eternità; l’eternità la attribuisce ai suoi modesti idoli, all’atomo, o in generale alla materia o all’energia.

 

Ma la verità è che, secondo le leggi dell’universo, di tutto ciò che possiamo osservare con i sensi,

di tutto ciò che nel mondo ci circonda sotto forma di materia e di energia,

oltrepassato lo stadio dell’epoca di Venere non esisterà più nulla, ma proprio nulla.

 

Noi sappiamo che all’evoluzione della Terra seguirà l’evoluzione di Giove, all’evoluzione di Giove quella di Venere, quindi l’evoluzione di Vulcano. Come l’uomo si riscopre in differenti incarnazioni, così la Terra si riscopre come Giove, e dopo l’evoluzione di Giove come Venere, e dopo l’evoluzione di Venere come Vulcano.

 

Oltre l’esistenza di Venere, quello che oggi qualunque esperimento fisico

può riscontrare come materia e struttura materiale non avrà consistenza.

 

Non ci sarà conservazione della materia e dell’energia – di quella materia e di quella energia delle quali possono parlare i fisici – oltre l’esistenza di Venere. La legge della conservazione della materia e dell’energia è nel suo complesso unicamente una superstizione, ed è quella che domina tutti i concetti della fisica. Ma nell’esplicita affermazione del fatto che il mondo consiste di materia indistruttibile, sempre distribuita in altri agglomerati, è nondimeno celato qualcosa, celata la risposta che dev’essere data alla domanda che segue: bene,

che cosa mai rimarrà allora quando tutto ciò che circonda ad ampio raggio i nostri sensi non esisterà più,

quando sarà venuta l’epoca di Venere o ne sarà stato raggiunto il momento centrale?

Che cosa rimarrà allora? E se rimarrà qualcosa, dove si troverà?

 

Ora, volgiamo gli occhi al vasto ambiente che ci circonda, fin dove possiamo abbracciarlo con lo sguardo. Osserviamo tutto, proprio tutto, osserviamo l’insieme del regno minerale, di quello vegetale, di quello animale, di quello umano; osserviamo tutto ciò che riusciamo a osservare quanto a stelle e fenomeni luminosi, tutti i fenomeni dell’aria, tutti quelli dell’acqua, guardiamo dovunque vogliamo guardare, abbracciamo tutto ciò che le percezioni dei nostri sensi esterni ci permettono in qualche modo di abbracciare, e poniamoci la domanda:

dove si troverà quel qualcosa che rimarrà della nostra esistenza attuale?

 

• Non in qualche animale, non in qualche pianta, non in qualche minerale, non nell’aria, non nell’acqua,

non si troverà altrove che nell’uomo!

• In tutto quello che possiamo vedere oggi non è contenuto nulla che sia destinato a durare oltre l’esistenza di Venere

se non l’uomo, solo ed esclusivamente l’uomo stesso.

• In null’altro possiamo cercare qualcosa di permanente, qualcosa che sia definibile con il concetto di eternità,

in null’altro che non sia l’uomo.

 

Come dire che, se cerchiamo i germi del vero futuro del mondo, dove li dobbiamo cercare?

Li dobbiamo cercare nell’uomo! Non possiamo cercarli in nessun’altra creatura, in nessuno dei regni naturali.

 

Attraverso i regni naturali, tuttavia, gli antichi vissuti prima del mistero del Golgota hanno visto, in senso spirituale ovviamente, il Tutto cosmico. Prendiamo il Sole per esempio: essi hanno visto una palla infocata, ma attraverso la palla infocata hanno saputo vedere Helios e il Bene. Questa palla infocata del Sole non durerà tuttavia più a lungo dell’esistenza di Venere; dopo, non ci sarà più. Né ci sarà più tutto ciò attraverso cui si sia vista come gli antichi, quasi attraverso un velo, la costituzione di un qualunque essere spirituale. E, di tutto quello che esiste adesso, per il futuro rimarrà soltanto ciò che si trova negli uomini in forma germinale.

 

Allora, che cosa è accaduto realmente?

Prima del mistero del Golgota, gli uomini hanno rivolto lo sguardo alla vastità dell’universo e hanno visto stelle su stelle, hanno visto il Sole e la Luna, l’aria, l’acqua, i differenti regni naturali. Ma non hanno guardato ad essi come l’uomo di oggi; piuttosto, dietro tutto questo hanno scorto la presenza spirituale-divina, e dietro tutto ciò hanno scorto il Cristo, che non era ancora sceso sulla Terra.

 

In questi antichi tempi il Cristo è stato associato al cosmo, è stato visto in una dimensione extra-terrena. Entro tutto ciò in cui si è visto il Cristo non v’è nulla che sia destinato a durare oltre l’esistenza di Venere. Tutto ciò attraverso cui, nei tempi anteriori al mistero del Golgota, si è svelato all’uomo l’elemento spirituale, e con esso il Cristo nel cosmo, durerà soltanto fino all’esistenza di Venere.

 

Prima del mistero del Golgota gli uomini hanno vissuto con il cielo,

ma questo cielo è di natura sensibile, tanto che svanirà anch’esso con l’esistenza di Venere.

I germi di quel che rimarrà oltre l’esistenza di Venere  si trovano unicamente nell’uomo.

 

Il Cristo doveva venire all’uomo dall’universo, se voleva mettersi in cammino con lui verso l’eternità.

Proprio perché tutto sta nei termini in cui ve l’ho esposto adesso,

il Cristo è sceso dal cosmo per essere da allora in poi unito a ciò che, quale germe presente nell’uomo,

è destinato a durare fin nell’eternità.

È questo il grande evento cosmico che bisogna comprendere.

 

Gli uomini vissuti prima del mistero del Golgota potevano adorare Dio, il Cristo, nell’universo.

Gli uomini che dovevano rendersi conto – e l’epoca successiva al mistero del Golgota se ne è sempre più resa conto –

che solo nell’uomo si trova il germe dell’eterno futuro del mondo,

questi uomini dovevano avere non un Cristo nel cosmo là fuori destinato a disgregarsi,

bensì un Cristo unito all’uomo, all’organizzazione dell’uomo, al regno dell’uomo.

 

È vero alla lettera: quanto esiste nell’universo sensibile, stelle e corpi celesti, passerà.

Ma la Parola, il Logos che è apparso nel Cristo e che si unisce all’eterno nucleo essenziale dell’uomo, non passerà.

E questa è una verità testuale come sono verità testuali le cose contenute negli autentici documenti occulti,

negli autentici documenti religiosi.

Ma qui sta anche la ragione per cui nella denominazione,

nella denominazione Cristo Gesù, un dualismo – l’ho già accennato – è in qualche modo necessario.

 

Si tratta di riconoscere, in primo luogo, il Cristo che appartiene all’universo extraterreno,

questo essere spirituale che prima del mistero del Golgota non era unito agli uomini della Terra;

non si può ignorarlo, poiché è questo l’essere disceso per unirsi alla natura umana, a Gesù.

 

Il dualismo Cristo Gesù racchiude quanto è necessario comprendere.

• Nel Cristo bisogna vedere l’elemento cosmico-spirituale;

• in Gesù bisogna vedere il tramite

per cui questo elemento cosmico-spirituale è entrato nell’evoluzione storica e si è unito all’umanità

in modo tale da poter vivere ormai con il germe umano fin nell’eternità.

• Occultare questo mistero del Cristo connesso con gli antichi misteri, travisarlo:

tale è stato in un certo qual modo il compito della Chiesa nei secoli passati.

 

E se provate un po’ a indagare come si deve l’evoluzione dell’umanità in questi secoli passati, se provate a riscontrare come sia andata a quegli individui che hanno voluto realmente cercare il Cristo Gesù, che hanno voluto realmente trovare la via per giungere al Cristo Gesù, vedrete che la loro è sempre stata una via di martirio.

 

Si è sempre stati costretti a cercarlo, il Cristo Gesù, andando contro le convenzioni, proprio come oggi, naturalmente, si è ancora costretti a cercarlo andando contro ciò che è rimasto delle convenzioni. Ma non è possibile avvicinarsi al mistero del Cristo senza metterlo in relazione con il mistero della natura.

 

Vedete, la necessità, che abbiamo posta innanzi alla nostra anima, della discesa del Cristo dalle altezze cosmiche al germe umano, il mistero del Cristo che si fa Gesù, tutto questo lo si può comprendere solo a condizione che l’osservazione della natura, l’osservazione del mondo, la cosmologia e la scienza del divenire dell’uomo e del divino nell’umanità si compongano in unità.

 

Proprio questo si tende a evitare da parte di alcuni: che la scienza della natura diventi al tempo stesso scienza dello spirito, e la scienza dello spirito diventi al tempo stesso scienza della natura. Tale è infatti l’aspirazione della maggioranza dei teologi nonché, d’altro lato, della maggioranza dei naturalisti del nostro tempo, che s’innalzi uno steccato tra la scienza della natura da una parte e la scienza dello spirito dall’altra.

 

Basta allora non dire nulla, sul Cristo Gesù, che abbia al tempo stesso un rapporto con l’evoluzione della Terra, e non dire nulla, sull’evoluzione della Terra ovvero sui suoi singoli aspetti, che abbia un rapporto con il grande mistero spirituale.

 

Quello che più importa, quel che è più importante di ogni altra cosa nella vita degli uomini del nostro tempo,

lo si affronta realmente quando si affrontano questi argomenti.

 

Infatti, le confuse dicerie su fenomeni spirituali d’ogni sorta alle quali tanto spesso anche i nostri amici ci rendono attenti, e lo fanno fino alla nausea, queste confuse dicerie sullo spirito non giovano a nulla. Mi aspetto che tutti i momenti qualcuno venga a dire: “Guardate bene, costui è tornato a parlare in termini schiettamente teosofici, o antroposofici, ha detto questo e quest’altro! “

Non è questa comoda ricerca di appoggi nella confusione presente ciò cui dobbiamo tendere, dobbiamo invece fin d’ora stare saldi sul fondamento che ci offrirà la scienza dello spirito. E oggi la situazione è troppo seria per cercare altri compromessi, soprattutto su questo terreno.

 

Gettare un ponte fra la conoscenza della natura, o, in termini generali,

fra la conoscenza di ciò che si percepisce e la conoscenza di ciò in cui rientrano il peccato, la redenzione,

in breve le verità religiose,

gettare un ponte fra questi due domìni, è una cosa che si potrà fare

soltanto se si avrà il coraggio di penetrare effettivamente nella realtà spirituale.

• Ma neppure sulle verità che riguardano la vita sarà possibile sapere alcunché di sensato

se non si avrà il coraggio di penetrare effettivamente nella realtà spirituale.

 

Il penetrare nella realtà spirituale implica innanzi tutto questa possibilità:

la possibilità di rievocare in qualche misura il mistero triplice del Sole dei tempi antichi,

ma in un senso nuovo, adeguato all’umanità contemporanea.

• Proprio come il Sole, infatti, che è una triade, così anche l’uomo è una triade.

• Si tratta dunque di studiare veramente a fondo questo uomo triplice.

È questa la cosa più importante per il nostro tempo: studiare a fondo l’uomo triplice.

 

Per oggi, a scopo propedeutico – domani e dopodomani porteremo poi a termine questo importante compito -, vorrei presentare schematicamente qualcosa che possa portarci sulla strada da esplorare, appunto, per comprendere l’uomo triplice.

Immaginiamo allora quel che segue – lo schizzo che farò adesso va inteso come uno schema -, immaginiamo di avere una forma che sia solo ed esclusivamente un’immagine, una riproduzione, pensiamo a una forma che non abbia sostanzialmente alcun significato in se stessa, e sia pertanto una riproduzione.

La schizzerò a questo modo: disegnerò semplicemente un cerchio [vedi disegno accanto, blu], una superficie circolare.

 

 

 

Questa è una forma che è copia di qualcos’altro,

ma nel suo essere copia ha consumato totalmente il qualcos’altro di cui è copia.

 

Senza dubbio quello che sto per dire suonerà strano, ma proviamo a immaginare: nella nostra cupola, nella cupola piccola, lavorano quattro signore; ora, supponiamo che queste quattro signore, due per parte, dipingano, facciano il proprio ritratto, ma che questo ritrarre se stesse dia luogo a una conseguenza particolare.

Dunque immaginiamo, ecco le quattro signore, stanno dipingendo il proprio ritratto nella cupola piccola, vi si effigiano, solo che questo loro ritrarsi avrebbe una conseguenza ben precisa: nel farlo, cioè, esse svanirebbero, trascorrerebbero nella propria effigie, cesserebbero di esistere. Quando hanno terminato, per il fatto che sono apparsi i ritratti, loro, loro in persona, non ci sono più. Sulla base di questo schizzo che ho disegnato raffiguriamoci dunque una forma di tal fatta: una forma che è comparsa in quanto è stata prodotta da qualcosa di cui essa è la riproduzione; mentre questo qualcosa, per il fatto che c’è la copia, è consumato.

 

Ora però, nel mondo non esiste solo questo qualcosa di consumato. Fate conto infatti che con le quattro signore la storia non sia ancora finita. È vero, queste quattro signore sarebbero svanite, dopo essersi ritratte lì sopra sarebbero svanite; ma i ritratti ci sono. E non sono i soli a esistere nell’universo, oltre ad essi esiste anche l’universo con le sue forze. Le signore sono svanite, sono state in certo modo assorbite dai ritratti; ma, grazie all’esistenza dei ritratti, dall’universo si viene addensando ancora dell’elemento sostanziale che ricostituisce le signore, ora beninteso da bambine: esse lentamente riprendono forma, ricompaiono accanto ai ritratti. Così, accanto a questa forma ricompare il suo archetipo [vedi disegno, giallo]. Dovrei propriamente disegnarlo dentro per un pezzettino, quindi lo disegno qui accanto: questo è l’archetipo.

 

Ma fra la copia e l’archetipo c’è un nesso molto precario, davvero molto precario. Non hanno quasi nulla a che fare l’una con l’altro. Questa copia in sostanza è irrigidita, e non ha quasi nulla a che fare con il suo archetipo.

 

 

Immaginiamo adesso una seconda forma. Anche questa seconda forma, per come la schizzerò, starà a rappresentare una riproduzione; solo che la prima forma si trova all’interno della seconda. La prima forma è qualcosa che sta a sé, ma si trova altresì all’interno della seconda. La seconda forma perciò la disegno qui, sovrapponendola decisamente alla prima.

 

Come la prima, anch’essa è una copia e, analogamente, anch’essa è copia di un’altra cosa che pertanto disegnerò similmente qui [rosso]; in questo caso però devo connetterle più strettamente l’una all’altra. Qui dunque c’è una situazione che non mi permette di utilizzare il paragone delle quattro signore che ho scelto prima; piuttosto, se dovessi scegliere adesso un paragone riferibile a questo archetipo e alla sua raffigurazione, dovrei dire così: ci sono sempre le quattro signore che dipingono nella cupola piccola, e anche questa volta, mentre stanno dipingendo, c’è qualcosa di loro che si dissolve, che viene assorbito. Ma ora esse vengono assorbite solo per metà; alla fine si trovano nella condizione seguente (dirò meglio, per non dar luogo a un paragone inestetico): delle une, viene assorbita la metà sinistra del corpo, la destra si distingue ancora dall’immagine; delle altre, viene assorbita la metà destra del corpo, la sinistra si distingue ancora. Esse dunque in parte sono assorbite; in parte si distinguono ancora. Questa è la seconda forma.

 

Adesso immaginiamo una terza, che includa quindi a sua volta la prima e che includa anche la seconda [vedi disegno accanto, verde]. Questa però è connessa per gran parte alla sua raffigurazione, non ne è ancora separata. Se dunque volessi proseguire nel paragone, in questo caso dovrei dire: le signore dipingono, ma continuano ad esser presenti anche in quanto tali, e l’insieme che mi trovo davanti consiste nelle signore e nei loro ritratti. Questo è presente [arancio], è presente in massima parte anche nell’archetipo.

 

 

Allora, qui abbiamo dunque una certa cosa, disegnata un po’ schematicamente: sopra, per cominciare, una copia, irrigidita, cristallizzata, che ha minimamente a che fare con il suo archetipo; l’archetipo è qui accanto, che sta prendendo forma ex novo. Questa in effetti è la nostra testa; essa è la parte più materiale, più solidificata, della natura umana. Il suo archetipo in effetti non ha nulla a che fare con essa, prende forma ex novo; e quando abbiamo raggiunto l’età di ventotto anni la nostra testa è ormai nella condizione di non aver più nulla da offrire, ha finito di svilupparsi.

 

• Nella natura umana non v’è niente di più materialista del capo.

• Una seconda forma comprende torace e respirazione, con tutto quello che vi appartiene.

 

Per il modo in cui è fatta, approssimativamente, potrei applicarle il mio secondo schema. È già più connessa, spirito e materia vi sono già più correlati, è già più compenetrata di spirito. Tutto quanto è polmoni e processo respiratorio è già più spiritualizzato per la Terra.

 

E quanto al rimanente, le membra, e tutto ciò che, ad esse collegato, comprende la sessualità,

qui elemento spirituale ed elemento fisico sono una cosa sola, sono ancora uniti.

Questo rientra nel terzo schema. Abbiamo quindi l’uomo triplice.

 

Oggi ho potuto disegnarvelo alla lavagna solo schematicamente.

Il mistero dell’uomo triplice, insieme prodigioso e fertile,

questo mistero grandioso e profondo, si ricollega al mistero triplice del Sole.

 

Ma quest’ultimo è collegato a sua volta con tutte le verità che ci sono necessarie come il pane della vita,

in vista di tutto ciò che deve insediarsi al posto di quanto è ormai finito nel caos,

in una via senza uscita, e ha condotto l’umanità alle catastrofi del nostro tempo.