I primi passi verso la conoscenza immaginativa

O.O. 227 – Conoscenza iniziatica – 19.08.1923


 

Sommario: Difficoltà dell’autoconoscenza. Uomo e forze naturali. Il ricordo. L’uomo nello spazio e nel tempo. Conoscenza iniziatica passata e presente. Il guru. Illusioni dei mistici. Vie meditative. La volontà nel pensiero. Passaggio dallo spazio al tempo nell’autoconoscenza. Il quadro della vita. Il senso di beatitudine della conoscenza immaginativa. La coscienza vuota. Immortalità e « innatalità ».

 

Per comprendere il mondo nella sua evoluzione

fu necessario in ogni epoca unirvi la conoscenza dell’uomo stesso.

 

È anche largamente noto che ai tempi in cui non si considerava soltanto l’esistenza materiale, ma anche quella spirituale, l’uomo fu sempre considerato come un microcosmo, come un piccolo mondo; ciò significa però che egli veniva concepito in modo che in lui, nel suo essere, nella sua attività, nell’intero suo presentarsi nel mondo, si scorgeva una concentrazione di tutte le leggi cosmiche, di tutte le attività, dell’intero essere del mondo in genere.

A quei tempi s’insisteva molto sul fatto

che una comprensione del mondo non era possibile, se non basata su una comprensione dell’uomo.

 

Ma a questo punto si affaccia subito una difficoltà per chi veramente non abbia pregiudizi. Nel momento in cui vuole arrivare a una cosiddetta autoconoscenza, che altro non può essere che la vera conoscenza dell’uomo, l’uomo si vede come il più grande enigma, e dopo qualche tempo di auto-osservazione deve riconoscere che il suo essere, quale appare ai sensi nel mondo che lo attornia, non è del tutto dispiegato dinanzi alla sua anima, dinanzi a lui stesso.

 

L’uomo deve ammettere a se stesso

che una parte della sua natura rimane sconosciuta, nascosta, all’ordinario sviluppo dei suoi sensi;

così, prima di arrivare alla conoscenza del mondo

l’uomo si trova di fronte al compito di evolvere il suo vero essere,

di cercare anzitutto il suo vero essere, mediante la conoscenza di se stesso.

 

• Una semplicissima riflessione può mostrare come nel mondo che lo attornia,

il suo vero essere, la sua attività interiore, la sua personalità, la sua individualità, non possono esistere,

perché nel momento in cui l’uomo varca la soglia della morte, il suo cadavere è abbandonato alle leggi,

all’entità cosmica che secondo i sensi di solito lo attornia.

L’uomo, morto fisicamente, viene afferrato dalle leggi naturali,

da quelle leggi che sono attive nel mondo sensibile.

• Allora il complesso che si deve indicare come organizzazione umana si dissolve,

allora l’uomo si disgrega in un tempo più o meno breve a seconda del genere della sepoltura.

 

Una semplice riflessione mostra che le leggi che dobbiamo indicare come il complesso delle nostre leggi naturali che impariamo a conoscere per mezzo dell’osservazione dei sensi, sono unicamente adatte a disgregare l’organizzazione umana, ma non a edificarla.

 

Dobbiamo dunque cercare le leggi, le attività che veramente per la vita terrena

dalla nascita fino alla morte, o già dalla concezione fino alla morte,

lottano contro le forze, le leggi della dissoluzione.

• In ogni attimo della nostra vita, per mezzo del nostro vero essere umano interiore,

noi siamo lottatori contro la morte.

• Guardandosi attorno nel mondo dei sensi,

nell’unica e sola parte del mondo che oggi l’uomo comprende, nel mondo minerale inanimato,

vediamo che esso è appunto dominato dalle forze che per lui significano la morte.

 

È infatti soltanto una illusione dell’investigatore odierno della natura il credere di poter una volta riuscire a comprendere, con le leggi dateci dal mondo esterno, sia pur solo le piante. Non lo si potrà fare. Ci si avvicinerà alla comprensione delle piante, e può essere un ideale, ma già la pianta, nonché l’animale o l’uomo fisico stesso, non si potranno in nessun caso investigare per mezzo delle leggi che ci attorniano nel mondo dei sensi.

• Come esseri terrestri, fra concezione e morte,

nella nostra vera interiorità noi siamo lottatori contro le leggi della natura.

• Se vogliamo veramente elevarci all’autoconoscenza umana,

dobbiamo investigare l’attività che nell’essere umano lotta contro la morte.

 

Volendo davvero investigare completamente l’essere umano, investigazione che faremo appunto in queste conferenze, si dovrà anche indicare come attraverso l’evoluzione terrestre l’uomo abbia potuto arrivare a che per l’esistenza terrestre le sue attività interiori fossero in definitiva soggette alla morte, a che la morte trionfasse delle forze nascoste che lottano contro di essa.

Tutto ciò è anzitutto soltanto destinato a richiamare la nostra attenzione sulla direzione che dovranno avere le considerazioni di questi giorni, perché la verità di quel che ora dico non potrà risultare che dalle singole conferenze stesse.

 

Per mezzo di un semplice esame spregiudicato dell’essere umano,

possiamo dunque innanzitutto indicare dove occorra cercare la vera interiorità,

la personalità, l’individualità dell’uomo.

• Non l’abbiamo nel regno delle forze naturali,

e dobbiamo cercarla al di fuori del regno delle forze della natura.

 

Ma vi sarebbe anche un’altra considerazione (vorrei dare anzitutto soltanto delle indicazioni) e cioè:

in quanto uomini terrestri, noi viviamo abbandonati all’attimo fuggente.

• Anche qui bisogna non avere pregiudizi per scorgere l’intera portata di questa affermazione.

• Quando vediamo, quando udiamo, quando in genere percepiamo con i sensi,

siamo abbandonati all’attimo fuggente.

Ciò che è passato e che deve venire non può fare impressione alcuna

né sul nostro orecchio, né sul nostro occhio, né sopra alcun altro senso.

• Noi siamo in balìa dell’attimo e con esso dello spazio.

 

Che cosa sarebbe però l’uomo, se fosse abbandonato soltanto all’attimo fuggente, e soltanto allo spazio? Abbiamo già per esempio, grazie all’osservazione della natura, sufficienti indicazioni che l’uomo non rimane tale nel pieno senso della parola, se è abbandonato soltanto all’attimo e allo spazio. Lo attesta la storia delle malattie di molte persone.

Si racconta di uomini, e i vari casi furono bene investigati, che in un determinato momento della loro vita non ricordano di che cosa prima avessero sperimentato, rimanendo abbandonati all’attimo fuggente, e compiendo così le cose più assurde.

 

In completa contraddizione con la loro vita passata, prendono un biglietto ferroviario, viaggiano fino a una determinata stazione, compiono tutto quanto può essere fatto secondo ragione in quel momento e lo fanno magari in modo più intelligente, più raffinato del solito. Essi vanno all’ora giusta a colazione, compiono tutte le vicende della vita a tempo giusto. Quando sono arrivati all’ultima stazione a cui arriva il loro biglietto, rie acquistano uno nuovo, forse anche per una direzione contraria alla prima corsa. A questo modo errano a volte per anni nel mondo, finché si trovano in una località qualsiasi, senza più sapere dove si trovano.

Nella loro coscienza è spento il ricordo di tutto ciò che fecero dall’acquisto del primo biglietto ferroviario o dalla partenza da casa in poi, e la memoria si risveglia soltanto per il tempo trascorso prima della loro partenza. Così l’intera loro vita animica, e in genere la loro intera esistenza umana terrestre, si trova in stato di caos. Essi non sentono la loro completa coesione come uomini, come la sentivano prima. Si trovarono abbandonati all’attimo fuggente, poterono sempre orientarsi in modo giusto nello spazio, ma persero l’interiore sentimento del tempo, la memoria.

 

Dal momento in cui l’uomo perde per la vita terrestre l’interiore sentimento del tempo,

l’interiore reale rapporto con il proprio passato, la sua vita cade nel caos.

La semplice esperienza dello spazio

non può contribuire affatto alla salute dell’intero suo essere.

 

Ciò significa però che con i suoi sensi l’uomo è sempre abbandonato all’attimo fuggente; egli può perfino isolare la propria esistenza per lo spazio, per l’attimo, per l’insieme dell’esistenza umana in casi di malattia, ma in tal caso non rimane uomo nel completo senso della parola.

 

Ci viene indicato qualcosa che per l’uomo è fuori dello spazio e appartiene soltanto al tempo.

• Dobbiamo così dire: come l’esperienza spaziale è qualcosa,

così per l’uomo l’esperienza del tempo, che sempre deve essere presente in lui,

il sentirsi presente nel tempo è qualcosa di indispensabile, è qualcosa che egli deve avere,

perché il ricordo deve rendere in lui presente il passato, perché il totale suo essere possa esistere.

 

Il tempo passato non esiste mai nell’attimo presente; per sperimentarlo,

l’uomo deve di continuo riportare il passato nell’attimo presente.

Per la conservazione del passato devono dunque esistere delle forze che non derivano dallo spazio,

che non si devono considerare leggi naturali operanti nello spazio, ma che risiedono al di fuori dello spazio.

 

Sono segni che ci indicano che l’uomo, se viene posto come centro per la conoscenza del mondo,

deve prendere le mosse da un’autoconoscenza;

egli deve prima di ogni altra cosa ricercare in sé ciò che, perfino al di fuori dell’esistenza spaziale,

vale a dire dell’esistenza di cui solo ed unicamente i sensi ci danno conto,

fa di lui un’entità temporale nella stessa esistenza spaziale.

L’uomo deve perciò fare appello a forze cognitive in sé

che non siano legate ai sensi, che non siano legate alle percezioni spaziali, se vuole percepire il proprio essere.

 

• Appunto nell’attuale momento dell’evoluzione dell’umanità, in cui la scienza

introduce l’uomo in modo tanto importante nelle leggi dello spazio,

il vero suo essere, per cause che si rileveranno anche in queste conferenze,

è in generale sparito per la comprensione umana.

• Nel momento attuale sarà perciò in special modo necessario

indicare le esperienze interiori che come abbiamo visto

conducono anzitutto l’uomo dallo spazio nel tempo, e nelle esperienze del medesimo.

• Partendo da questo, come vedremo, egli può arrivare al mondo spirituale.

 

La conoscenza che dal sensibile conduce nel soprasensibile

fu chiamata in tutte le epoche « conoscenza attraverso l’iniziazione »,

la conoscenza cioè dell’effettivo impulso dell’entità umana, dell’elemento attivo dell’individualità.

• Nella prospettiva di questa conoscenza iniziatica

verranno qui esaminate l’evoluzione del mondo e quella dell’uomo

nel passato, nel presente e nell’avvenire.

 

Avrò dunque da parlare anzitutto di come si possa arrivare alla conoscenza iniziatica.

Da come si parla oggi di tali cose,

• la conoscenza iniziatica del presente già si differenzia in modo importante da quella del passato.

 

In quella del passato alcuni singoli maestri dell’umanità penetravano fino alla visione del soprasensibile nel mondo e nell’uomo. I discepoli che avevano un’impressione sensibile puramente umana di ciò che viveva in quei maestri del soprasensibile, si raccoglievano attorno a loro e accettavano ciò che essi potevano dare; lo accettavano sulla base dell’autorità non forzata che si affermava per virtù dell’impressione che producevano le personalità dei maestri.

Perciò durante la complessiva evoluzione dell’umanità, fino all’epoca attuale, troveremo sempre detto che il singolo discepolo doveva sottomettersi all’autorità di un maestro, di un guru.

 

Anche a questo riguardo, come in molti altri casi che ancora ci si presenteranno in queste conferenze, la scienza iniziatica del tempo presente non può seguire la medesima via di quella seguita nel passato.

Il guru non esponeva mai la via per la quale egli era arrivato alla conoscenza. Di una comunicazione pubblica della via verso la conoscenza superiore non si parlava affatto nei tempi antichi. Queste comunicazioni venivano singolarmente e unicamente fatte nei santuari dei misteri che in quegli antichi tempi erano le scuole superiori per la via verso il soprasensibile.

 

• Oggi non sarebbe più possibile una via del genere di fronte alla coscienza generale dell’umanità, alla coscienza a cui l’umanità si è innalzata e che ha acquistato nell’attuale momento storico.

• Perciò, chi parla di conoscenze soprasensibili è oggi naturalmente spinto a dire anzitutto come si arrivi a tali conoscenze.

 

A ognuno spetta poi decidere come comportarsi individualmente

riguardo alla via da seguire nella vita, in merito a questi esercizi del corpo, dell’anima e dello spirito,

per mezzo dei quali si arriva allo sviluppo di forze nell’essere umano

che guardano al di là delle leggi della natura e del momento attuale

e penetrano nel vero essere del mondo, come pure nel vero essere dell’uomo.

 

Il corso ovvio delle considerazioni che verranno svolte in queste conferenze sarà dunque che io esponga, o dia per lo meno qualche accenno, del come l’uomo attuale possa appunto conseguire conoscenze del soprasensibile.

 

A tal fine occorre prendere le mosse dall’uomo, come appunto egli è,

come si colloca nell’esistenza terrena di fronte allo spazio, di fronte al momento attuale.

• In quanto essere terrestre, l’uomo è animicamente e corporalmente

(dico di pieno proposito: animicamente e corporalmente)

un essere ternario: pensante, senziente e volente.

• Se quindi consideriamo tutto quanto è compreso

nel campo del pensare, in quello del sentire e in quello del volere,

avremo abbracciato la parte che l’essere umano prende all’esistenza terrena.

 

Consideriamo prima di tutto la parte più importante di ciò che colloca l’uomo nell’esistenza terrena:

senza dubbio la sua natura pensante,

perché essa gli conferisce quella piena chiarezza sul mondo di cui egli ha bisogno in quanto uomo terrestre.

• Il sentimento rimane oscuro, indefinito, rispetto al chiaro pensiero;

• altrettanto il volere, con le profondità da cui sgorga, è del tutto inaccessibile per l’osservazione ordinaria.

Si rifletta alle azioni del volere nel mondo ordinario, nello sperimentare ordinario.

 

Si decide per esempio di prendere una sedia e porla in un altro posto. Abbiamo il pensiero di portare la sedia in quel posto, e pensiamo a questo fatto. Poi il contenuto della rappresentazione scorre in un modo per noi del tutto sconosciuto nel sangue e nei muscoli. Abbiamo poi di nuovo solo la rappresentazione di che cosa succede ora nel sangue, nei muscoli e nei nervi, mentre alziamo la sedia e la spostiamo.

 

Ne abbiamo la rappresentazione.

Ma l’effettiva attività interiore, ciò che si svolge entro la pelle

rimane per noi completamente nell’incosciente;

• soltanto il risultato diventa per noi visibile nei pensieri.

Così la volontà è quanto di più incosciente vi sia durante l’attività di veglia.

Dell’attività del sonno dell’uomo parleremo più tardi.

 

Durante l’attività della veglia il volere rimane del tutto nell’oscurità, nelle tenebre.

In sostanza si sa altrettanto poco di ciò che, emanato dal pensiero, succede poi nel volere,

quanto nella vita terrestre ordinaria si sa di ciò che succede di noi

dal momento in cui ci si addormenta fino a quello del risveglio.

 

• Non si avverte la natura interiore del volere neppure durante la veglia.

• Soltanto la rappresentazione, soltanto il pensare reca chiarezza nella vita terrestre dell’uomo.

• Il sentire sta fra il volere e il pensare.

 

• Come fra il sonno e la veglia il sognare è una rappresentazione indefinita e caotica,

un dormire a metà e un vegliare a metà,

• così il sentire sta fra il volere e il rappresentare, è veramente un sognare desto dell’anima.

• Come elemento più vicino all’uomo

dobbiamo dunque prendere le mosse dal rappresentare, dal pensare.

 

Ma come si svolge il pensare nella vita terrena ordinaria?

Esso ha una parte del tutto passiva nell’intero nostro essere umano terrestre;

si deve essere al riguardo completamente sinceri nell’osservazione di se stessi.

 

• Dal risvegliarsi fino all’addormentarsi l’uomo si abbandona al mondo esterno.

• Egli permette alle impressioni dei sensi di invaderlo e a quelle si uniscono le rappresentazioni.

• Noi lasciamo scorrere le impressioni dei sensi,

ovvero esse ci scorrono dinanzi e ci rimangono nell’anima le rappresentazioni.

• Esse si trasformano a poco a poco in ricordi.

 

Ma come ho detto, se si è sinceri nell’osservazione di se stessi, si dovrà dire:

il contenuto delle rappresentazioni che si acquistano nella vita ordinaria

è unicamente ciò che è entrato nell’anima dal mondo esterno, dall’osservazione dei sensi.

Si cerchi con lealtà e senza pregiudizi che cosa si porta nell’anima:

in ogni caso si troverà che è stato provocato da un’impressione esterna.

 

A questo riguardo si abbandonano in special modo alle illusioni i mistici che non penetrano fino al fondo della loro anima, e lo dico esplicitamente. Essi credono di arrivare, per mezzo di un allenamento interiore più o meno oscuro, a conoscenze interiori su quanto vi è alla base del mondo come elemento divino superiore. Questi mistici a metà, o mistici per un quarto, parlano spesso di una luce interiore animica che in essi si è dischiusa e dicono di aver veduto qualcosa di spirituale.

 

Chi esercita un’auto-osservazione veramente precisa e sincera potrà vedere quante mai visioni mistiche derivano soltanto da esperienze dei sensi, trasformatesi con l’andar del tempo. Per quanto possa sembrare paradossale, può però esservi un mistico quarantenne che crede di avere una diretta visione immaginativa (voglio indicare qualcosa di concreto) del mistero del Golgota, perché lo vede interiormente in ispirito, e se ne sente interiormente molto elevato.

 

Un buon psicologo potrebbe seguire il corso della vita del mistico quarantenne e troverebbe che da ragazzo, a dieci anni, aveva visto di sfuggita un quadretto, in occasione di una visita fatta accompagnando suo padre. Quel quadretto, che rappresentava il mistero del Golgota, aveva fatto a quell’epoca poca impressione sull’anima del ragazzo, ma l’impressione rimase, si trasformò, discese nei profondi sostrati dell’anima e a quarant’anni emerse come grande visione mistica.

 

A questo si deve por mente prima di tutto, quando ci si azzarda di parlare oggi delle vie verso la conoscenza soprasensibile, perché chi le rende facili non potrà di regola parlarne che da dilettante. Proprio chi avrà diritto di parlare di vie mistiche o soprasensibili, dovrà in certo qual modo essere a conoscenza di tutto quanto può condurre ad errori in questo campo.

Egli deve sapere con precisione come l’ordinaria autoconoscenza non contenga di solito veramente che impressioni esteriori trasformate, e come la vera autoconoscenza debba oggi essere cercata per mezzo di un’evoluzione interiore, attingendo dall’anima forze che a tutta prima non vi sono.

 

Qui si deve considerare appunto la passività del pensare abituale.

Esso crea le impressioni secondo come vogliono i sensi.

Ciò che precede, precede anche nel pensiero, ciò che segue, segue anche nel pensiero.

Il sopra è sopra anche nel pensiero, il sotto è sotto.

Così l’uomo, per il pensare ordinario, non soltanto nella vita ordinaria ma anche nella scienza,

segue gli eventi che si svolgono nel mondo esterno soltanto passivamente.

 

La nostra scienza è progredita al punto da considerare ideale l’accorgersi di come le cose si svolgano nel mondo esterno senza che il pensiero vi abbia la minima influenza. La nostra scienza, nei suoi metodi d’indagine, si propone come ideale di foggiare il pensiero in modo che rimanga per quanto possibile passivo. E nel proprio campo ha perfettamente ragione.

 

Essa arriva nel proprio campo a progressi maggiori, quando tien conto appunto di questo metodo;

si allontana però sempre più dal vero essere dell’uomo,

perché il primo passo che si esige nei metodi per la conoscenza soprasensibile,

che si possono chiamare meditazione, concentrazione nei riguardi delle forze animiche interiori,

o si possono anche chiamare con altri nomi, è appunto quello di trovare il passaggio

• dal semplice pensiero passivo      • al pensiero attivo interiore.

 

Caratterizzerò ora in modo elementare il primo passo che deve presentarsi così:

invece di lasciarci sollecitare dall’esterno a una qualsiasi rappresentazione,

dobbiamo prenderne una noi stessi, attinta assolutamente dall’interiorità,

e la dobbiamo porre nel punto centrale della coscienza.

• Non importa che la rappresentazione, come si dice, sia vera,

ma che sia tratta attivamente dall’interiorità dell’anima.

• Perciò non è neppure bene che essa sia presa dal ricordo,

perché nel ricordo svariatissime impressioni confuse rimangono unite a tutte le nostre rappresentazioni.

 

Se dunque attingiamo alcunché dalla nostra memoria, non siamo sicuri

di che cosa ricolleghiamo passivamente con il pensiero a quel ricordo,

né se davvero la nostra meditazione è disposta interiormente in senso attivo.

 

Si può quindi procedere in tre modi.

• Si può senz’altro procedere in modo del tutto autonomo.

Si prenda una rappresentazione quanto più possibile semplice e facilmente afferrabile,

che si sappia da noi formata proprio in quell’istante. Essa non corrisponde a qualcosa di cui solo ci si ricordi.

Ci si può fare anche una rappresentazione paradossale, una rappresentazione

che coscientemente si allontani da tutto quanto si può accogliere passivamente.

Si deve soltanto essere sicuri dell’attività interiore

per mezzo di cui si è formata la meditazione.

 

• Si può anche andare da qualcuno che abbia avuto esperienze in questo campo

e chiedergli di darci un contenuto per la meditazione. Si può in tal modo forse temere di diventare dipendenti da quella persona. Ma, se rimaniamo coscienti che dal momento in cui abbiamo ricevuto il contenuto della meditazione procediamo ormai con ogni passo autonomamente, per virtù della nostra attività interiore, che ci siamo solo procurati l’occasione di accogliere qualcosa che noi stessi non avevamo pensato, e che appunto perché proviene da un’altra persona è qualcosa di nuovo, se rimaniamo coscienti di questo fatto, lo stato di dipendenza non si presenta. Soprattutto occorre agire nel senso di una tale coscienza.

 

• Come terzo mezzo, finalmente,

si può cercare un maestro in un modo per così dire invisibile.

 

Si prenda un libro qualsiasi di cui si sia certi di non averlo mai avuto in mano; lo si apra a caso e vi si legga una frase. Così si può essere sicuri di trovare una frase del tutto nuova, della quale ci si deve occupare con attività interiore.

Si prenda la frase come contenuto di meditazione, o si prenda una figura che si sia trovata in quel libro, una cosa qualsiasi trovata a quel modo che si è sicuri di non aver mai veduta.

Questo è il terzo mezzo. In questo modo ci si può creare da noi stessi un maestro dal nulla. Il maestro è la circostanza di aver cercato il libro, di averlo letto e di essersi lasciati avvicinare da quella frase o da quella figura, o da qualsiasi altra cosa.

 

Oggi vi è dunque senz’altro la possibilità di arrivare alla via verso i mondi superiori in modo da poter essere sicuri che nessuna forza si intrometta in modo non giustificato nell’attività del pensiero in cui così ci si trasferisce. E questo è l’essenziale per l’uomo moderno.

Appunto durante il corso delle conferenze vedremo infatti che è soprattutto necessario per l’uomo odierno, se vuole evolversi a un mondo superiore, il rispetto, la valorizzazione della sua libera volontà. E se non si dà valore alla libera volontà come potrà mai formarsi l’attività interiore? Non appena un uomo diventa dipendente da un altro, la sua volontà viene frenata.

 

Per una meditazione oggi possibile,

il problema è compierla grazie alla propria attività interiore,

alla volontà nel pensare, alla quale di solito si attribuisce scarso valore

nell’impiego passivo esteriore e proprio della scienza odierna.

• In tal modo si entra nel pensare attivo.

 

Il tempo necessario perché l’evoluzione si compia dipende completamente dal singolo individuo. Taluno potrà conseguirla in tre settimane, se sempre di nuovo fa degli esercizi e meglio se sempre gli stessi, ad altri occorreranno cinque anni, o sette, o anche 19 anni e così di seguito.

 

Essenziale è che si continui ad impiegare l’energia necessaria

alla ricerca del passaggio verso questa attività del pensiero.

• A un determinato momento s’impara veramente a conoscere

un pensare diverso da quello che prima si aveva.

 

• S’impara a conoscere un pensare

che non si svolge in immagini passive come il pensiero abituale,

ma che è interiormente del tutto attivo

e di cui si sa che, sebbene lo si svolga chiaramente, è nondimeno forza,

come è forza quando alzo il braccio o quando faccio un segno col dito.

• Si impara a conoscere un pensare, nel quale ci si sente

come un veicolo di forza del proprio essere umano; un pensare

(e non parlo ora figurativamente, ma esprimo la concreta effettiva verità)

che può colpire, del quale si sa che può colpire.

 

Del pensiero abituale si sa che non cozza contro niente. Se urto contro una parete e mi faccio un livido, ho colpito il mio corpo fisico, l’ho urtato con la mia forza tattile. La mia forza tattile poggia sul fatto che posso contrapporre il mio corpo alle cose. Io cozzo contro di esse.

 

Il pensiero abituale passivo non cozza contro nulla, indica solo il venir urtati,

perché il pensiero ordinario passivo non è una realtà, è immagine.

• Il pensiero a cui si arriva nel modo descritto è realtà, è qualcosa in cui si vive.

Esso colpisce, come il dito che batte contro la parete.

E come si sa che non si può attraversare ovunque col dito,

così pure si sa, nel pensiero reale in cui si penetra, che non si può con esso penetrare ovunque.

Questo è il primo passo.

 

• Esso va fatto educando il proprio pensiero a diventare un organo tattile animico,

in modo che ci si senta pensare come di solito si cammina, si afferra, si tasta,

in modo da sapere che si vive in un essere,

non soltanto nel pensiero ordinario che può dare solo immagini,

ma che si vive in una realtà, in un organo tattile animico che noi stessi, come uomini, siamo diventati.

• Il primo passo che si deve fare, è trasformare il pensiero in modo da sentire:

tu stesso sei divenuto completamente il pensatore.

 

Tutto ciò si completa, e non succede con questo pensiero come con il tastare fisico. Per questo ultimo abbiamo il braccio e quando abbiamo finito di crescere esso è già cresciuto bene. Ma il pensiero divenuto attivo è come una chiocciola che può stendere le sue corna e poi ritirarle. Si vive in un essere pieno di forza, ma in un essere interiormente mobile che avanza e si ritrae, che è interiormente attivo.

 

Come vedremo,

si può dunque andar tastando nel mondo spirituale con un organo tattile proteso,

o ci si può ritrarre, se spiritualmente si sente dolore.

Queste sono le cose che devono essere seriamente considerate da chi voglia avvicinarsi al vero essere dell’uomo: la sua trasformazione in un essere del tutto diverso.

 

Non si vede che cosa l’uomo è realmente, se prima non si ha la possibilità di scorgere in lui

qualcosa del tutto diverso da quello che ci palesa la fisicità terrestre.

Quel che viene sviluppato per mezzo dell’attività del pensiero

è la prima parte costitutiva soprasensibile dell’uomo.

La descriverò in seguito con maggiore esattezza.

 

• Abbiamo anzitutto il corpo fisico che si può percepire con gli abituali organi sensori

e che difatti oppone resistenza, quando si tasta con gli organi tattili abituali.

• Abbiamo poi la prima parte costitutiva soprasensibile dell’uomo;

la si può chiamare a volontà o corpo eterico, o corpo formativo di forze:

il nome non ha importanza, occorre soltanto adottare una terminologia.

La chiamerò dunque corpo eterico, o formativo di forze.

 

• È la prima parte soprasensibile dell’uomo

che, al tastare superiore, al tastare a cui abbiamo trasformato il nostro pensiero,

è in effetti percepibile quanto le cose fisiche sono percepibili al tatto fisico.

Il pensare diventa tatto soprasensibile,

e ad esso il corpo eterico o corpo formativo di forze diventa percepibile, diventa visibile in senso superiore.

• Questo è per così dire il primo vero passo nel mondo soprasensibile.

 

Proprio il modo con cui ho cercato di descrivere che il pensiero si trasforma in un’esperienza di una realtà-forza interiore permetterà di osservare quanto siano prive di significato le obiezioni opposte a questo processo evolutivo veramente spirituale, quale per esempio: chi vuol penetrare in questo modo nel mondo spirituale si abbandona a fantasie, è soggetto ad auto-suggestioni.

Questo anzitutto dice la gente: chi a seguito della sua evoluzione vuol parlare dei mondi superiori, ci dà solo le immagini della propria autosuggestione. La gente dice inoltre: è pure possibile che, a chi abbia spesso bevuto limonate, basti il solo pensare alla limonata per sentire la comparsa fisiologica del liquido in bocca, come se ne bevesse una. Esistono forti autosuggestioni del genere.

 

Tutto ciò può verificarsi, e le cose alle quali il fisiologo e lo psicologo possono arrivare devono appunto essere ben conosciute praticamente, perché chi voglia penetrare nel mondo spirituale per la via giusta che sto descrivendo possa disporre delle necessarie norme di precauzione. A chi crede di poter bere della limonata per autosuggestione senza averne alcuna, posso rispondere che mi mostri chi, per mezzo di tale limonata autosuggestionata, si sia veramente dissetato.

Qui appunto comincia la differenza, se esista veramente qualcosa nel pensare passivo, o se sorga un’esperienza nell’uomo. Per virtù del complessivo nostro nesso con il mondo reale e a seguito di una spirituale attivazione del pensiero, ci troviamo nel mondo in modo che il nostro pensare diventa un tastare.

 

Allora non tastiamo naturalmente la tavola o la sedia, ma impariamo appunto a tastare entro il mondo spirituale, a toccarlo, a entrare in un nesso reale col mondo spirituale. Impariamo appunto in questo modo, per mezzo dell’attivazione del pensiero, a conoscere la differenza fra un’autosuggestione mistica fantastica e l’esperienza della realtà spirituale.

Queste obiezioni provengono perciò tutte dal fatto che ancora non si è compreso veramente il modo in cui la conoscenza iniziatica moderna descrive la sua via; se ne giudica soltanto dal di fuori, dopo avere tutt’al più conosciuto i nomi di alcune cose o dopo averne acquistata una conoscenza superficiale.

 

Chi sia arrivato nel mondo spirituale nel modo descritto, a toccare, a tastare nel detto mondo, sa discernere se si è semplicemente immaginato con ritardo ciò che ha sperimentato per mezzo del suo pensiero attivato, o se realmente ha percepito per mezzo del pensiero attivato. Anche nella vita ordinaria si può infatti distinguere fra quel che si sperimenta quando per imprudenza si mette il dito nel fuoco, e il pensare di aver messo il dito nella fiamma, è una differenza vitale: nel primo caso si sente vero dolore, nel secondo ci si immagina soltanto il dolore. Questa differenza si sperimenta sopra un campo più elevato, fra ciò che si pensa dei mondi superiori e ciò che veramente in quelli si sperimenta.

 

Quel che per prima cosa si sperimenta in questo modo, è appunto la vera conoscenza di se stesso,

perché proprio come nella vita, per la conoscenza visiva, ci stanno dinanzi il tavolo,le sedie,

questa sala nella sua bellezza, l’orologio che non cammina, e così via,

come tutto ciò ci sta dinanzi nella vita spaziale e ci offre una percezione visiva,

così al pensiero divenuto reale, al pensiero attivato, si presenta il mondo temporale

e anzitutto il mondo temporale del proprio sé umano.

 

Ciò che si è sperimentato, e che di solito

può essere richiamato alla coscienza soltanto nell’immagine mnemonica,

nella rappresentazione per immagini, ci si presenta come un panorama attuale

in cui il lontano passato è attuale,

così come viene descritto da persone che hanno subito un trauma

per essersi trovate in un pericolo di vita sul punto di affogare.

 

È già stato constatato oggi da persone di mentalità completamente materialistica (lo aggiungo sempre) che chi si trova in pericolo d’affogare ha animicamente dinanzi a sé un panorama della sua vita terrena; esso si presenta realmente dinanzi a chi ha attivato in quel modo il suo pensare; gli si affaccia dinanzi all’anima la sua vita passata, a un tratto come in un panorama che la racchiude tutta, dal momento in cui ha imparato a pensare nella sua vita terrena fino al momento attuale. Il tempo diviene spazio. Il passato diventa presente.

 

Ci sta dinanzi un’immagine: è un fatto caratteristico, di cui domani parlerò ancora, che si ha veramente, perché la cosa ha forma di immagine; si ha cioè una specie di sentimento dello spazio, ma soltanto un sentimento dello spazio. Allo spazio che ora si sperimenta, manca infatti la terza dimensione. Non si sperimenta ora più una terza dimensione, ma ovunque lo spazio soltanto a due dimensioni. Si conosce cioè per immagini. Perciò chiamo questa conoscenza, conoscenza immaginativa; una conoscenza che, come la pittura, lavora in due dimensioni, che è appunto anzitutto una conoscenza immaginativa, una conoscenza che si presenta in due dimensioni.

 

Si potrà porre la domanda: se io sono qui e sperimento in due dimensioni, che ne è quando io procedo innanzi e sperimento sempre in due dimensioni? Non vi è differenza. La terza dimensione come esperienza sparisce del tutto. In una prossima occasione esporrò come ai nostri tempi, perché non si ha più coscienza di queste cose, gli uomini cerchino la quarta dimensione per penetrare nello spirituale.

Verità è che, appena si passa dal fisico nello spirituale,

non sorge una quarta dimensione, ma sparisce la terza.

 

Bisogna in effetti familiarizzarsi in questo campo con la realtà, come del resto anche in altri campi ci si è familiarizzati con la realtà. Come si credeva una volta che la Terra fosse una lastra, che alla fine di essa si arrivasse a qualcosa che vagamente finisse nel nulla, e che « il mondo fosse chiuso con tavole », dunque che si arrivasse a un limite ultimo, come fu un progresso quando si seppe che si ritorna al punto di partenza quando si veleggia attorno alla Terra, così sarà pure un progresso per la comprensione interiore del mondo quando si saprà: non si prosegue dalla prima, la seconda e la terza dimensione alla quarta penetrando nel mondo spirituale, ma si ritorna alla seconda. Vedremo come si ritorni perfino alla prima. Questa è la verità.

 

Fa parte di una concezione superficiale del mondo nella nostra epoca il procedere per così dire in modo del tutto meccanico e di contare: prima, seconda, terza dimensione; ve ne deve dunque essere anche una quarta. No, si torna indietro alla seconda, la terza si neutralizza, e si ottiene una vera conoscenza immaginativa; essa esiste prima nel proprio sé come un quadro panoramico della vita; si abbraccia così con lo sguardo nell’attimo attuale in potenti immagini (ne parlerò in seguito con maggiori particolari) come dalla nostra interiorità sia stata percorsa la vita terrena.

 

Vi è pure una differenza rilevante rispetto ai semplici ricordi. Le semplici immagini mnemoniche sorgono avendo il senso che nel ricordo vivono soprattutto le rappresentazioni del mondo che abbiamo formato, le esperienze di piacere, di dolore, ciò che gli altri ci hanno fatto, come gli altri si sono comportati con noi. Questo si sperimenta soprattutto nel ricordo solo rappresentativo.

 

Nel quadro panoramico di cui io parlo si sperimenta diversamente. Supponiamo di aver incontrato dieci anni prima una persona. Nel semplice ricordo si sperimenta come l’uomo si comporta con noi, che cosa egli ci fa di bene o di male. Nel quadro panoramico della vita si sperimenta invece come noi stessi abbiamo diretto il primo sguardo verso quella persona, che cosa si è fatto, che cosa si è sperimentato per acquistare il suo affetto, che cosa si è sentito. Si sente dunque in quel quadro che cosa si sviluppa dall’interiorità verso l’esterno, mentre il semplice ricordo ci dà quello che si è sviluppato dall’esterno verso l’interno.

Si può dunque dire che in questo quadro della vita vi è come un’esperienza di diretta attualità, in cui le cose non si coordinano l’una dopo l’altra come nel ricordo, ma una accanto all’altra nello spazio a due dimensioni. Si può distinguere molto bene questo quadro della vita dal semplice quadro mnemonico.

 

Si arriva così a intensificare l’attività interiore, l’attivo sperimentare della propria personalità, ed è questo l’essenziale. Si sviluppano più intensamente le forze che irradiano dalla propria personalità. Dopo questa esperienza si deve salire ancora di un passo che per altro nessuno fa volentieri. Per farlo occorre quella che si può chiamare massima abnegazione interiore, perché nello sperimentare il quadro in cui la vita terrena ci si presenta dinanzi all’anima, perfino per le cose che furono dolorose quando vennero sperimentate nella realtà in passato, si ha un sentimento soggettivo di felicità. Collegato con la conoscenza immaginativa vi è un sentimento soggettivo fortissimo di felicità.

Da questo sentimento soggettivo di felicità provengono tutti gli ideali e le descrizioni religiose che, come per esempio le descrizioni dei mussulmani, si figurano la vita nell’aldilà con immagini portatrici di felicità. Ciò si presenta all’immaginazione, in seguito all’esperienza di questo sentimento di felicità.

 

Quando si fa il nuovo passo, occorre dimenticare anzitutto questo sentimento di felicità, perché ora è necessario, dopo avere attivato deliberatamente il pensiero come ho già descritto per mezzo di meditazioni e di concentrazioni, dopo essere arrivati per mezzo di questo pensiero attivato al quadro panoramico della propria vita, è necessario che con forza si elimini tutto nuovamente dalla coscienza.

Orbene, l’eliminazione del contenuto della coscienza si verifica nella vita ordinaria a volte con molta facilità. Coloro che vogliono dare esami hanno molto da lamentarsi della eliminazione dei contenuti della coscienza che invece veramente dovrebbero rimanere. Anche l’ordinario sonno in fondo altro non è che la eliminazione del contenuto quotidiano della coscienza. Ma anche questa eliminazione si verifica passivamente, perché chi va a dare gli esami non eliminerà certo coscientemente ciò che sa. Il processo è passivo e accade nell’uomo a causa della sua debolezza, della sua attuale debolezza. Ma appunto dopo che questa forza è stata intensificata, l’eliminazione deve verificarsi per poter fare un ulteriore passo verso la conoscenza soprasensibile.

Avviene in effetti con molta facilità che per aver concentrato tutte le forze dell’anima sopra un contenuto scelto da noi stessi, si ha una certa tendenza ad arrestarsi a tale contenuto, poiché un sentimento di felicità accompagna quel quadro e ci si arresta volentieri. Lo si conserva volentieri. Si deve però essere in condizione di estinguere di nuovo nella coscienza ciò cui si è aspirato per mezzo di una specie di intensificazione di forza. Questa estinzione è più difficile, come già ho detto, di quanto non sia nella vita ordinaria.

 

È noto che se si tolgono gradualmente all’uomo le impressioni dei sensi, se lo si conduce al punto di non vedere nulla, rendendo lo spazio oscuro, arrestando ogni movimento perché egli non oda nulla, le impressioni diurne finiscono pure per attutirsi, ed egli si addormenta: questa coscienza vuota con la quale l’uomo di solito si addormenta deve essere provocata deliberatamente. Ma mentre spegne ogni impressione della coscienza, anche tutte le impressioni della coscienza da lui stesso prodotte, egli deve rimanere sveglio. È importante essere sveglio unicamente per avere la forza, per avere l’attività interiore e per non ricevere nessuna impressione esteriore, nessuna impressione da lui stesso prodotta. Questo è produrre la coscienza vuota, ma una coscienza vuota pienamente sperimentata.

• Quando in tal modo si è eliminato di nuovo ciò che si è portato nella coscienza per mezzo delle forze intensificate, e si è ristabilita una coscienza vuota, essa non rimane vuota, perché si presenta il secondo grado della conoscenza; rispetto alla conoscenza immaginativa, potremo chiamarla conoscenza ispirata.

 

Quando abbiamo acquistato la coscienza vuota dopo una siffatta preparazione,

ci poniamo nella possibilità che il mondo uditivo ci si presenti

come all’occhio si presenta di solito il mondo visibile; il mondo spirituale ci si presenta ora dinanzi all’anima.

Ora non è più il proprio sperimentare, ma è il mondo spirituale che penetra in noi e che ci si presenta.

 

Se siamo abbastanza forti da poter eliminare tutt’insieme, non solo le singole parti che ci siamo elaborate, ma l’intero panorama della vita, in modo che, dopo avere avuto il panorama della vita e stabilita la coscienza vuota, si rimanga svegli, allora si riaffaccia per prima nella coscienza vuota la vita preterrena che abbiamo percorso prima di discendere per mezzo della concezione in un corpo terrestre. Questa è la prima vera esperienza soprasensibile che si ha dopo avere stabilito la coscienza vuota: si vede cioè la propria vita preterrestre.

Da questo momento in poi si conosce la immortalità dell’uomo da un lato che oggi non è affatto rilevato. Oggi si parla sempre soltanto dell’immortalità. Non s’impara l’intera realtà, cioè, che l’immortalità è la negazione della morte. Certamente, questo è altrettanto vero quanto l’altro aspetto (avremo molto da dire in proposito) ma ciò che per mezzo della conoscenza s’impara per primo a conoscere sulla via alla quale ho potuto soltanto accennare, non è l’immortalità, la negazione della morte, ma l’«innatalità», la negazione della nascita. L’innatalità è altrettanto essenziale per l’uomo quanto l’immortalità.

 

Quando di nuovo si comprenderà che l’eternità ha questi due aspetti, l’immortalità e l’innatalità,

allora soltanto si potrà nuovamente penetrare con la conoscenza nel duraturo, nel vero eterno dell’uomo.

 

I linguaggi moderni hanno tutti ancora la parola « immortalità »; ma hanno perduto la parola « innatalità » che i linguaggi più antichi avevano. Prima si è perduto un aspetto della eternità, l’« innatalità », e ora, nell’epoca materialistica, la conoscenza dell’uomo si trova posta dinanzi al momento tragico in cui si può perdere anche l’immortalità, in quanto nel campo della concezione materialistica del mondo non si vuol più sapere nulla dello spirito che vive nell’uomo.

 

Oggi ho potuto soltanto indicare i primi passi, anzi solo accennarli, per avviarsi sul cammino dei mondi soprasensibili. Nei prossimi giorni caratterizzeremo altre cose, per passare poi a quello che si può conoscere sull’uomo e sul mondo del presente e del passato, e a quello che è necessario sapere per l’avvenire.