Quando un uomo veniva iniziato secondo il metodo antico, l’elemento materno usciva, e quello paterno rimaneva indietro

O.O. 112 – Il Vangelo di Giovanni in relazione agli altri 3 – 04.07.1909


 

Bisogna rendersi conto che gli uomini,

per evitare di opporsi esteriormente gli uni agli altri nel mondo dei sensi

a causa delle loro diverse opinioni, sentimenti e azioni,

devono combattere in loro, devono placare in loro

ciò che altrimenti scorrerebbe nel mondo esteriore.

 

Chi anzitutto lotta con ciò che vi è da combattere in se stesso,

chi stabilisce l’armonia fra le diverse parti costitutive della propria entità,

non lotterà contro l’opinione diversa di un’altra anima.

Egli si presenterà al mondo esteriore

in modo da non essere un uomo che combatte, ma un uomo che ama.

 

Si tratta dunque di trasportare la lotta dall’esteriore nell’interiorità dell’uomo.

Le forze che dominano nella natura umana devono combattersi interiormente.

 

Due opinioni opposte devono essere da noi considerate nel seguente modo:

• questa è un’opinione – e come tale è ammissibile;

• l’altra opinione è anche ammissibile;

se però io ritengo giusta una sola delle due opinioni,

se ritengo giustificato solo quello che voglio e combatto l’altra opinione,

stabilisco una lotta sul piano fisico;

insistere sulla mia opinione e considerare giustificata solo la mia azione è agire da egoista.

 

Se invece accolgo in me l’opinione contraria e tento di stabilire in me stesso un’armonia,

la mia posizione verso il mio oppositore si trova ad essere del tutto diversa;

allora soltanto potrò cominciare a comprenderlo.

 

Deviare la lotta dal mondo esteriore per armonizzarla nelle forze interiori dell’uomo:

così si potrebbe esprimere il progresso nell’evoluzione dell’umanità.

Per mezzo del Cristo doveva venir data la possibilità all’uomo di diventare armonico,

di trovare in sé la possibilità di armonizzare nella propria interiorità le forze che si contrastano.

Il Cristo dà all’uomo la forza per smorzare anzitutto la lotta in se stesso.

Senza il Cristo ciò non è più possibile.

 

E gli antichi, i precristiani, consideravano con ragione che la lotta esteriore più terribile fosse quella del figlio contro il padre o la madre. Nei tempi in cui si sapeva come le cose si sarebbero svolte senza l’impulso del Cristo, il parricidio era considerato quale il più orrendo e più efferato dei delitti.

Questo viene mostrato chiaramente dagli antichi saggi che prevedevano la venuta del Cristo. Ma essi sapevano anche che cosa sarebbe avvenuto nel mondo esteriore, se la lotta non si fosse svolta anzitutto nell’interiorità umana.

 

Esaminiamo la nostra interiorità. Abbiamo visto che nell’interiorità dell’uomo, là dove il corpo eterico e il corpo astrale si compenetrano, domina la madre; che là dove l’io si trova nel corpo fisico, si esprime il padre. Vale a dire: in ciò che è comune a tutti noi, che appartiene alla specie, che forma la nostra vita rappresentativa e la nostra vita di saggezza interiore, domina la madre, domina l’elemento femminile; in ciò che viene creato dall’unione dell’io col corpo fisico, nella forma esteriormente differenziata, in ciò che fa dell’uomo un «io», domina il padre, l’elemento maschile.

 

Che cosa dovevano pretendere anzitutto dagli uomini gli antichi saggi che pensavano a questo modo? Dovevano richiedere che l’uomo giungesse entro di sé a chiarire la relazione del corpo fisico e dell’io col corpo eterico e il corpo astrale; che egli giungesse a rendersi chiaramente conto dell’elemento materno e di quello paterno che dominano in lui. Per il fatto di avere in sé il corpo eterico e il corpo astrale, l’uomo ha in sé l’elemento materno.

 

Egli ha per così dire, oltre la madre esteriore che è sul piano fisico, l’elemento materno, la madre, dentro di sé; e oltre al padre che è nel mondo fisico, egli ha in sé l’elemento paterno, il padre. Stabilire un giusto rapporto tra padre e madre in se stessi doveva apparire come un ideale, un grande ideale. Se l’uomo non riesce ad armonizzare padre e madre dentro di sé, il disaccordo fra quei due elementi si trasmette dall’uomo al piano fisico e ne risultano dei disastri.

 

L’antico saggio diceva perciò che l’uomo ha il compito di stabilire in sé un’armonia

fra l’elemento paterno e quello materno;

se non riesce in questo suo compito, ciò si riversa sul mondo esteriore e ci deve apparire spaventoso.

 

Come esponevano quegli antichi saggi agli uomini tutto ciò che abbiamo appunto espresso con parole,

per così dire, antroposofiche?

Essi dicevano: «Abbiamo ereditato dai tempi primordiali una saggezza antichissima; in uno stato di coscienza abnorme l’uomo può ancora oggi immergersi in essa. Ma la possibilità di arrivare a quello stato va sempre più diminuendo, e perfino l’antica iniziazione non serve a trasportare l’uomo oltre un dato punto dell’evoluzione dell’umanità ». Consideriamo ancora una volta quell’antica iniziazione, quale l’abbiamo descritta negli ultimi giorni. Che cosa avveniva in sostanza durante una simile iniziazione?

 

Durante quell’iniziazione, dall’insieme costituito da corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale ed io,

venivano estratti il corpo eterico e il corpo astrale, mentre l’io rimaneva indietro.

Di conseguenza l’uomo non poteva avere autocoscienza durante i tre giorni e mezzo dell’iniziazione.

L’autocoscienza era spenta.

L’uomo riceveva una coscienza dal mondo spirituale superiore che fluiva in lui dal sacerdote iniziatore;

questi lo guidava completamente, e metteva a sua disposizione il proprio io.

 

Che cosa avveniva allora, veramente?

Accadeva qualcosa che veniva espresso con una formula che sembrerà strana;

se però la si comprende, non pare più strana.

Si diceva che quando un uomo veniva iniziato secondo il metodo antico,

l’elemento materno usciva, e quello paterno rimaneva indietro.

 

Vale a dire: l’uomo uccideva in sé l’elemento paterno e si univa con sua madre entro se stesso.

Con altre parole: egli uccideva il padre in sé, e sposava sua madre.

 

• Quando l’antico iniziato giaceva in uno stato letargico per tre giorni e mezzo,

egli si era unito con la madre e aveva ucciso il padre in sé. Era divenuto senza padre.

• Così doveva essere infatti, perché egli doveva abbandonare la propria individualità,

doveva vivere in un mondo spirituale superiore. Egli diventava tutt’uno col suo popolo.

 

Ma ciò che viveva nel suo popolo proveniva appunto dall’elemento materno.

Egli diventava tutt’uno con l’intero organismo del suo popolo;

diventava ciò che era Natanaele, e che veniva sempre indicato col nome del popolo corrispondente;

per gli Ebrei un «israelita», per i Persiani un «persiano».

 

Nel mondo non vi può mai essere altra saggezza che quella che fluisce dai misteri, nessun’altra. Chi impara le cose opportune nei misteri, diventa messaggero per il mondo esteriore, e il mondo esteriore impara ciò che è stato visto nei misteri.

Ma nel senso dell’antica saggezza veniva appreso ciò che gli uomini acquistavano per il fatto di unirsi interiormente con la madre e di uccidere in loro il padre.

 

Quella saggezza ereditata non poteva però condurre l’uomo oltre un dato punto dell’evoluzione.

• Al posto di quell’antica saggezza doveva subentrare qualcosa del tutto nuovo.

• Se l’umanità avesse continuato sempre a ricevere soltanto l’antica saggezza acquistata a quel modo,

sarebbe stata spinta, come abbiamo già detto, alla guerra di tutti contro tutti.

• Sarebbe insorta l’opinione contro l’opinione, il sentimento contro il sentimento, la volontà contro la volontà;

e si sarebbe giunti alla terribile immagine dell’avvenire

nella quale l’uomo si unisce con la madre e uccide il padre.

 

Gli iniziati antichi, che pur avendo l’iniziazione aspettavano il Cristo, la hanno descritta con immagini significative, con grandi e possenti immagini. L’impronta di questa concezione degli antichi saggi precristiani è conservata nelle leggende e nei miti. Basta ricordare il nome di Edipo; con esso ci colleghiamo a ciò che gli antichi saggi esprimevano per quello che volevano comunicare in proposito.

 

Ecco l’antica leggenda greca, quella che i tragici greci esposero in modo così grandioso e possente:

Vi era un re a Tebe; il suo nome era Laio. Giocasta era sua moglie. Per molto tempo non ebbero discendenti. Allora Laio domandò all’oracolo di Delfo se non avrebbe potuto avere un figlio. E l’oracolo gli diede la risposta: « Se tu vuoi avere un figlio egli sarà tale che ti ucciderà ». In istato di ebbrezza, vale a dire in uno stato di coscienza smorzato, Laio fece in modo di avere un figlio. Edipo nacque. Laio sapeva che esso era il figlio che lo avrebbe ucciso e decise di abbandonarlo; perché perisse sicuramente gli fece anzi traforare i piedi e poi lo abbandonò.

Un pastore trovò il bambino e ne ebbe pietà; lo portò a Corinto dove venne allevato nel palazzo reale. Quando fu adulto Edipo venne a sapere dall’oracolo che egli avrebbe ucciso suo padre e si sarebbe unito con sua madre. Né ciò poteva essere evitato. Egli dovette abbandonare il luogo dov’era cresciuto, perché ivi lo si riteneva figlio del re. Per via incontrò proprio il suo vero padre e senza conoscerlo lo uccise. Giunse a Tebe, e poiché aveva saputo rispondere alle domande della sfinge, aveva potuto sciogliere l’enigma dello spaventoso mostro, causa della morte di tanta gente, la sfinge dovette uccidersi.

Così egli diventò un benefattore della sua patria. Venne eletto re e ottenne la mano della regina, vale a dire la mano di sua madre. Senza saperlo, aveva ucciso suo padre e si era unito a sua madre. Regnò quindi come sovrano. Ma per il fatto di esser giunto al trono in quel modo, per il fatto di avere in sé quel destino terribile, egli fu causa d’indicibile sventura al suo paese; così alla fine del dramma di Sofocle, egli ci appare come il cieco che da se stesso si è tolto la vita.

 

Questa è un’immagine uscita dalle antiche scuole di saggezza. Doveva significare che nell’antica maniera, sotto certi riguardi, Edipo poteva ancora mettersi in relazione col mondo spirituale. Suo padre aveva consultato l’oracolo. Gli oracoli erano gli ultimi residui dell’antica chiaroveggenza. Ma essi non erano sufficienti per stabilire la pace nel mondo esteriore; non potevano dare agli uomini ciò che doveva venir acquistato, e cioè l’armonia fra l’elemento materno e quello paterno.

Che Edipo sia un uomo che giunge a una certa visione chiaroveggente nell’antica maniera, semplicemente per via ereditaria ci viene indicato dal fatto che egli scioglie l’enigma della sfinge; che cioè della natura umana egli ha tutta la conoscenza che gli era possibile avere per mezzo degli ultimi residui dall’antica saggezza primordiale. Questa però non poteva più condurre ad evitare la lotta fra gli uomini, ciò che viene rappresentato con l’immagine del parricidio e dell’unione con la madre.

 

Sebbene Edipo sia legato con l’antica saggezza primordiale,

per mezzo di questa non può scorgere i nessi fra le cose.

L’antica saggezza non rende più veggenti. Questo volevano spiegare gli antichi saggi.

 

Se l’antica saggezza avesse ancora reso veggente nell’antico senso del sangue,

il sangue stesso avrebbe parlato in Edipo quando egli si trovò di fronte al padre,

e avrebbe parlato quando si presentò alla madre. Ma il sangue non parlava più!

Così ci viene esposta la decadenza dell’antica saggezza primordiale.

 

Che cosa doveva accadere perché fosse possibile all’uomo trovare in se stesso definitivamente

il pareggio armonico fra l’elemento materno e quello paterno,

fra il proprio io, che contiene l’elemento paterno, e l’elemento materno?

Doveva venire l’impulso del Cristo!

 

Guardiamo ora da un punto di vista diverso in certe profondità delle nozze di Cana in Galilea.

Nel testo è scritto: «… e c’era la madre di Gesù.

E fu invitato anche Gesù coi suoi discepoli alle nozze». (Giov. II-l).

Gesù — o meglio il Cristo — doveva presentare agli uomini il grande esempio

di un essere che ha trovato in se medesimo l’unione tra l’io e il principio materno.

 

Egli accenna a questo fatto durante le nozze di Cana in Galilea: «Passa qualche cosa da me a te» (Giov. 11-4). Era un nuovo modo di «passare da me a te», non più secondo l’antica maniera, e significava un rinnovamento dell’intero rapporto.

 

Una volta per tutte era il grande ideale del pareggio nell’uomo stesso, cioè senza uccidere prima il padre;

vale a dire senza prima uscire dal corpo fisico, trovare il pareggio con l’elemento materno nell’io.

Era cioè venuto il momento in cui l’uomo impara a combattere dentro di sé

la troppo grande forza dell’egoismo, del principio dell’io,

in cui impara a porla nel giusto rapporto con l’elemento materno

che domina nel corpo eterico e nel corpo astrale.

 

Di conseguenza alle nozze di Cana

una bella immagine del rapporto del proprio io, che è l’elemento paterno

con il principio materno, ci viene presentata nell’armonia interiore,

nell’amore che regna nel mondo esteriore fra Gesù e sua madre.

Doveva essere un’immagine dell’accordo armonico fra l’io e l’elemento materno nel proprio sé.

Esso non esisteva prima, è venuto soltanto per mezzo dell’azione del Cristo Gesù.

 

Poiché è venuto per mezzo dell’azione del Cristo, con esso venne l’unica possibile confutazione, — confutazione per mezzo dell’azione — di tutto ciò che avrebbe dovuto avvenire sotto l’influenza degli antichi residui della saggezza ereditaria che avrebbero condotto all’uccisione del padre e all’unione con la madre.

 

Che cosa viene dunque combattuto per mezzo del principio del Cristo?

Quando l’antico saggio, che guardava il Cristo, confrontava il vecchio con il nuovo, poteva dire: « Se viene cercata l’unione con la madre nella maniera antica, nessun bene potrà mai risultarne per l’umanità. Ma se invece viene cercata l’unione con la madre nel modo nuovo, così come ci viene indicato alle nozze di Cana, se l’uomo si unisce in tal modo al corpo eterico e al corpo astrale che vivono in lui, nel corso del tempo risulteranno sempre più fra gli uomini salvezza, pace e fratellanza. Verrà così combattuto l’antico principio dell’uccisione del padre e dell’unione con la madre ».

 

Quale era dunque effettivamente l’elemento nemico che il Cristo doveva eliminare?

Non era già l’antica saggezza; quella non andava combattuta. Essa perdeva la propria forza, si inaridiva di per sé gradatamente. Vediamo infatti che chi si affidava ad essa, come per esempio Edipo, cadeva per la sua influenza in uno stato di disarmonia. Ma la sventura non si sarebbe inaridita da sé, se gli uomini non si fossero voluti allontanare dalla nuova saggezza, vale a dire dal modo in cui agisce l’impulso del Cristo, e fossero invece restati rigidamente attaccati al principio antico.

 

Veniva considerato come massimo progresso il fatto di non arrestarsi al principio antico,

di non rimanere attaccati rigidamente alla direzione antica,

ma di riconoscere ciò che è venuto nel mondo per mezzo del Cristo.

E ci viene indicato anche questo? Si!

 

Le leggende e i miti contengono la più profonda verità. Vi è una leggenda; essa non è nel Vangelo, ma nondimeno è una leggenda cristiana, e anche una verità cristiana; essa dice:   Vi era una coppia di sposi. Questa coppia per lungo tempo non ebbe figli. Venne rivelato alla madre in sogno (si noti bene questo fatto) che essa avrebbe avuto un figlio, ma che questo figlio avrebbe prima ucciso il padre, si sarebbe poi unito con la madre, e sarebbe stato causa di spaventose sventure per l’intero suo popolo.

 

Di nuovo abbiamo un sogno, come per Edipo l’oracolo; si tratta di nuovo di un residuo ereditario della chiaroveggenza primordiale. Viene cioè rivelato alla madre nell’antica maniera che cosa doveva avverarsi. Ciò che le viene rivelato è forse sufficiente per penetrare con lo sguardo nei nessi cosmici, per evitare la sventura preannunziata? Interroghiamo la leggenda.

Essa ci insegna inoltre:   Sotto l’impressione della saggezza che il sogno aveva fatto fluire in lei, la madre portò il bambino che le era nato sull’isola di Kariot; ivi esso venne abbandonato, ma poi trovato da una regina di quei luoghi. Ella accolse il fanciullo e lo educò, perché col marito non aveva figli. Più tardi questa coppia ebbe un proprio figlio, e il trovatello accolto si sentì ben presto danneggiato da quel nuovo bambino; spinto dal suo temperamento passionale, uccise il figlio della coppia reale. Non poteva ormai più rimanere in quel luogo; dovette fuggire e arrivò alla corte del governatore Pilato, dove divenne in breve sopraintendente della servitù della casa. Però un giorno litigò col suo vicino, del quale sapeva solamente che era il suo vicino; nella lotta lo uccise, senza sapere che fosse suo padre. In seguito sposò la moglie del vicino: sua madre!

Questo trovatello era Giuda di Kariot!

 

Quando egli venne a conoscenza della sua terribile condizione, fuggì nuovamente, e trovò pietà per la sua situazione soltanto presso chi aveva pietà per tutti quelli che lo avvicinavano — chi non solo mangiava alla stessa tavola con dei pubblicani e dei peccatori; colui che, malgrado la penetrazione del suo sguardo, accolse anche questo grande peccatore presso di sé, perché la sua missione era di non operare soltanto per i buoni, ma per tutti gli uomini, in modo da guidarli dal peccato alla salvezza. Così Giuda Iscariota venne a trovarsi accanto al Cristo Gesù.

Ed ora egli apportò la sventura che era stata predetta, e che, secondo il detto di Schiller: « La maledizione del delitto è che, seguitando a propagarsi, deve sempre generare il male », doveva compiersi nella cerchia del Cristo Gesù. Giuda diventò il traditore del Cristo Gesù. In ultima analisi ciò che doveva compiersi in lui già era avvenuto col parricidio e col matrimonio con la madre. Ma per così dire egli rimase come uno strumento, perché egli dovette essere lo strumento, lo strumento malefico che doveva produrre il bene, e in tal modo compiere, per così dire, un’azione che oltrepassava l’adempimento della predizione.

 

Colui che ci viene rappresentato in Edipo, come conseguenza della sventura che ha portato,

dal momento in cui ha conoscenza della sventura di cui è stato causa, perde la luce degli occhi;

ma chi in seguito ai suoi legami con l’antica saggezza ereditaria subisce lo stesso destino, non diventa cieco;

viene invece prescelto per compiere il destino e fare ciò che conduce al mistero del Golgota,

che produce la morte fisica di chi è « la luce del mondo »,

e che fa agire la luce del mondo, nella guarigione del cieco nato.

 

Edipo dovette perdere la luce dei suoi occhi;

il Cristo diede la luce degli occhi al cieco nato, ma morì per mezzo di chi aveva il carattere di Edipo,

e nel quale ci viene mostrato come l’antica saggezza inaridisca a poco a poco nell’umanità,

e non basti più per dare agli uomini salvezza, pace ed amore.

Per questo fu necessario l’impulso del Cristo con l’evento del Golgota!

 

Per questo occorreva che anzitutto accadesse ciò che ci appare come un’immagine esteriore della relazione fra l’io di Gesù Cristo e sua madre, alle nozze di Cana in Galilea. Per questo occorreva inoltre che avvenisse anche qualcosa d’altro, qualcosa che lo scrittore del Vangelo di Giovanni descrive così.

 

Ai piedi della croce vi era la madre, vi era il discepolo «che il Signore amava»: Lazzaro-Giovanni;

quello che Egli Stesso aveva iniziato e per mezzo del quale

la saggezza del cristianesimo doveva giungere ai posteri;

quello che doveva influenzare il corpo astrale degli uomini

in modo che il principio del Cristo potesse vivere in loro.

 

Nel corpo astrale umano doveva vivere il principio del Cristo, e Giovanni doveva farvi fluire quel principio.

Per questo era però necessario che il principio del Cristo

si riunisse dall’alto della croce con il principio eterico, con la madre.

• Perciò il Cristo disse dall’alto della croce le parole: «Donna, ecco il tuo figliolo».

• E poi disse al discepolo: «Ecco la madre tua». (Giov. XIX-26 e 27).

Ciò significa che il Cristo unisce la sua saggezza con il principio materno.

 

Vediamo così non solo quanto siano profondi i Vangeli, ma anche quanto siano profondi tutti i nessi nei misteri. Sì, le antiche leggende sono in una relazione con le rivelazioni e i Vangeli del tempo nuovo, come lo sono predizione e adempimento!

 

Le antiche leggende ci mostrano chiaramente, con le storie di Edipo e di Giuda,

che vi era una volta una saggezza primordiale divina, ma che essa si inaridiva.

Una nuova saggezza doveva venire.

• La nuova saggezza condurrà gli uomini alla mèta a cui l’antica saggezza non avrebbe mai più potuto condurli.

• Che cosa sarebbe avvenuto senza l’evento del Cristo ce lo dice la leggenda di Edipo.

• Quale fosse l’opposizione al Cristo, il rigido attenersi all’antica saggezza, ce lo insegna la leggenda di Giuda.

 

Ma ciò che gli antichi miti e le leggende già avevano dichiarato insufficiente, ci viene posto sotto nuova luce dal nuovo messaggio, dal Vangelo.

Il Vangelo risponde a ciò che ci veniva detto nelle antiche leggende sotto forma di immagini della saggezza antica. Esse dicevano che dall’antica saggezza non poteva più sorgere ciò di cui l’umanità aveva bisogno per l’avvenire.

 

Il Vangelo quale saggezza nuova, ci annunzia ciò che occorre all’umanità,

ciò che non sarebbe mai potuto venire senza il principio del Cristo, senza l’evento del Golgota.