Quel che avviene dopo la morte è senz’altro in connessione con la vita che viviamo nel corpo

O.O. 178 – Il mistero del doppio – 15.11.1917


 

Sommario: Le conoscenze relative al mondo spirituale hanno un’importanza profonda per l’anima umana. Quel che avviene dopo la morte è senz’altro in connessione con la vita che viviamo nel corpo. Ci costruiamo l’ambiente con quel che siamo interiormente. Non importa tanto aver investigato da sé le cose, quanto averle in sé, averle sviluppate in sé. È quindi sbagliato credere che ognuno debba diventare un indagatore dello spirito.

 

L’indagatore dello spirito parla di singoli determinati spiriti, di singole entità spirituali, di un mondo dello spirito concreto, individualizzato, come parliamo qui di esseri vegetali, animali e umani individualizzati, in quanto esseri fisici fra nascita e morte. Quel che soprattutto può impressionare (è difficile parlare di queste cose in modo da trarle in una maniera nuova come da una remota profondità dello spirito) è quel che si presenta quando la conoscenza stessa si avvicina all’anima in una maniera ben determinata.

 

Da quanto ho detto si sarà visto che si può arrivare a conoscere il mondo spirituale.

• Le conoscenze relative hanno un’importanza profonda per l’anima umana:

la rendono in qualche modo diversa; agiscono sulla vita dell’anima,

ed è indifferente se siamo noi stessi a indagare lo spirito

o se abbiamo solo udito, compreso, accolto le comunicazioni di un ricercatore dello spirito;

è indifferente, non importa averlo investigato noi stessi: basta averlo trovato comprensibile,

e si può trovare comprensibile tutto, approfondendolo a sufficienza. Basta averlo accolto.

• Quando lo si afferra nella sua intera essenza, penetra nella vita dell’anima

in modo che un giorno ci diciamo che è più importante di ogni altro avvenimento della vita.

 

Possiamo aver sperimentato difficoltà e tristezze che ci abbiano scosso, una gioia, un’edificazione

(l’indagatore e il seguace dello spirito non devono esser insensibili a queste cose;

anch’essi partecipano e sentono come gli altri uomini), ma

• quando si approfondisce nel proprio essere complessivo quel che la conoscenza dello spirito dà all’anima

e si è in grado di rispondere alla domanda: che cosa ha l’anima da questi risultati spirituali?

• quando ci diciamo pienamente quel che l’anima è divenuta grazie alla conoscenza spirituale,

• questo avvenimento sarà più importante di tutti gli altri destini,

di tutte le altre esperienze del destino che ci si presentano.

 

Non che le altre esperienze diventino più piccole,

ma per l’indagatore e il conoscitore dello spirito questa diventa maggiore delle altre.

La conoscenza stessa permea secondo il destino la vita dell’anima.

• Quando la conoscenza la permea in questo modo, si comincia a capire il destino umano come tale:

ne nasce una luce che illumina il destino.

 

Da quel momento ci diciamo: avendo nitida nello spirito l’esperienza del destino, diventa spiegabile il nostro inserimento nella vita in modo conforme al destino, come esso dipenda da fili orditi in vite precedenti, vite terrene e vite fra morte e rinascita, e come essi s’intessano di nuovo da questa vita in una successiva.

 

Ci si dice allora che la coscienza ordinaria attraversa solo in sogno il suo destino

e lo accetta senza capirlo, come si accetta il sogno.

La coscienza veggente a cui ci si desta, come ci si sveglia dal sogno alla coscienza ordinaria,

acquista anche un nuovo rapporto verso il destino,

e questo lo si riconosce come ciò che collabora alla nostra vita complessiva,

alla vita che passa attraverso nascite e morti.

 

La cosa non è da prendere banalmente, come se l’indagatore dello spirito dicesse: ti sei meritato la tua disgrazia; no, sarebbe solo un misconoscimento, addirittura una calunnia contro l’indagine spirituale. Una disgrazia non ha affatto bisogno di essere in qualche modo causata dalla vita precedente; può intervenire spontaneamente e avrà solo conseguenze per la vita successiva e anche per ogni esistenza fra le vite terrene, perché vediamo assai spesso che dalla sventura, dal dolore e dalla sofferenza si sviluppa una coscienza diversa nel mondo spirituale. In tutta la nostra vita entra un senso, una comprensione anche per il nostro destino che altrimenti attraversiamo solo sognando.

Considerando la conoscenza spirituale, risulta anzitutto che non si può dire: si, dopo la morte l’anima entrerà in un’altra vita, e si può attendere quel che avverrà; qui prendiamo la vita quale ci si offre nel corpo fisico, e si vedrà poi quel che c’è dopo la morte. È un problema di coscienza.

 

Quel che avviene dopo la morte è senz’altro in connessione con la vita che viviamo nel corpo.

• Come per mezzo del corpo abbiamo qui la coscienza che ci è propria nell’ordinario stato di veglia,

• così dopo la morte abbiamo una coscienza che ora non si basa spazialmente sul sistema nervoso,

ma si costruisce temporalmente nell’osservazione a ritroso.

• Come il sistema nervoso è in certo modo la base per la coscienza ordinaria fra nascita e morte,

• così già qui il contenuto della nostra coscienza forma una base

per la coscienza nel mondo spirituale fra morte e rinascita.

 

• Come qui abbiamo attorno a noi il mondo,

• così dopo la morte abbiamo appunto davanti a noi la nostra vita, come organo importante.

Molto dipende perciò dalla coscienza nel corpo fisico,

la quale può prolungarsi fino in quella che ci viene incontro dopo la morte.

 

Chi ad esempio, come spesso avviene secondo le abitudini odierne di pensiero, si occupa soltanto di rappresentazioni fisiche e percepite attraverso i sensi, non ha nella sua coscienza, nella sua facoltà di memoria, in tutto quanto si svolge nella sua anima, se non rappresentazioni della vita ordinaria: anch’egli si costruisce un mondo per il dopo morte. Ci costruiamo l’ambiente con quel che siamo interiormente.

Come chi sia nato in Europa non può vedere l’America attorno a sé, come si ha il proprio ambiente nel quale si è nati fisicamente, così in certo modo determiniamo l’ambiente, il luogo della nostra esistenza grazie a quanto abbiamo formato nel corpo.

 

Prendiamo il caso estremo, che comunque non avviene con facilità, di qualcuno che si sia opposto a tutte le idee soprasensibili, sia divenuto ateo, non abbia nemmeno sentito l’impulso a volersi occupare della religione (so che sto dicendo qualcosa di paradossale, ma questo atteggiamento ha buoni sostegni scientifico-spirituali): egli si condanna a rimanere nella sfera terrestre, a restare qui con quella coscienza, mentre un altro, avendo accolto idee spirituali, è trasferito in un ambiente spirituale.

Chi dunque abbia accolto soltanto rappresentazioni sensibili, si condanna a rimanere nel mondo sensibile.

 

Come si esplica un’attività benefica nel corpo fisico, perché in certo modo in esso si ha l’involucro protettivo contro il mondo circostante quando siamo presenti col corpo fisico nel mondo fisico, così si opera nocivamente, se dopo la morte restiamo presenti nel mondo fisico.

Con rappresentazioni fisiche nella coscienza dopo la morte si diventa distruttori.

 

Accennando al problema dell’ereditarietà, ho già detto come le forze dell’uomo, quando è nel mondo spirituale, si intromettano nel mondo fisico. Chi con la sua coscienza solo fisica condanna se stesso a restare nel mondo fisico, diventa un centro di forze distruttive che interferiscono in quanto avviene nella vita umana, e in genere nella vita del mondo.

Fin che siamo nel corpo possiamo avere pensieri solo sensibili, materialistici: il corpo è una protezione e lo è in misura molto più alta di quanto non si creda.

 

È molto singolare, ma a chi guardi all’intera connessione del mondo spirituale appare chiaro che se l’uomo non fosse isolato dal mondo circostante grazie ai suoi sensi, poiché nella coscienza ordinaria non è capace di accogliere concetti viventi, ma quelli resi morti che devono trattenerlo dal penetrare nella sfera spirituale,

se l’uomo potesse rendere direttamente attive le sue rappresentazioni,

se non le avesse solo nella sua interiorità dopo che le cose sono passate attraverso i sensi,

sviluppando così la sua vita di pensiero,

egli agirebbe anche qui nel mondo fisico in senso mortifero, paralizzante.

 

Le nostre rappresentazioni sono infatti in certo modo distruttive, demolitrici per tutto quanto afferrano.

• Soltanto perché vengono trattenute in noi non sono demolitrici;

distruggono soltanto quando si manifestano nelle macchine,

negli strumenti che devono essere qualcosa di morto che si estrae dalla natura vivente.

• È solo un’immagine, ma corrisponde a una realtà.

Quando però qualcuno entra nel mondo spirituale con rappresentazioni solo fisiche,

diventa un centro di distruzione.

 

Ho citato quest’unico esempio fra i tanti possibili, ed esso mostra che non dobbiamo dire: si può attendere; è invece insito in noi sviluppare pensieri sensibili o soprasensibili e prepararci in un modo o nell’altro la vita successiva.

• Essa è certo tutta diversa, ma deriva dalla vita di qua; è essenziale comprenderlo.

 

Molte cose della scienza dello spirito ci appaiono diverse da come si immaginano,

e prima di chiudere devo quindi fare qualche altra osservazione.

 

Con molta facilità potrebbe sorgere l’idea

che chi entra nel mondo spirituale debba senz’altro diventare lui stesso un indagatore dello spirito.

• Non è affatto necessario, sebbene nel mio libro L’iniziazione abbia descritto molto

di quanto l’anima deve fare su di sé per poter realmente entrare nei mondi superiori.

• Fino a un certo grado ognuno oggi può arrivarvi, ma non occorre che tutti lo facciano.

 

Quanto dell’anima sia stato sviluppato è una circostanza puramente interiore;

quel che ne segue è invece che le verità indagate siano formate in concetti,

che si rivesta in pensieri quali ho sviluppato oggi ciò che l’indagatore dello spirito è in grado di presentare.

In tal caso può essere comunicato.

 

Per le necessità dell’uomo è del tutto indifferente (enuncio così una legge dell’indagine spirituale)

che egli stesso abbia investigato le cose, o che gli siano state comunicate da persona attendibile.

Non importa tanto aver investigato da sé le cose, quanto averle in sé, averle sviluppate in sé.

 

È quindi sbagliato credere che ognuno debba diventare un indagatore dello spirito.

Questi avrà oggi solo l’esigenza (come l’ho avuta io) di render conto per così dire della sua indagine spirituale.

Non solo perché sino a un certo grado oggi ognuno può percorrere senza alcun danno la via che ho descritto,

ma anche perché ognuno ha diritto di chiedere: come hai fatto a giungere ai tuoi risultati?

Di conseguenza ho descritto queste cose.

 

Credo che anche chi non voglia diventare un indagatore dello spirito

si vorrà almeno persuadere come l’indagatore pervenga ai risultati

di cui oggi ha bisogno chiunque voglia porre la base per la vita

che deve svolgersi nelle anime umane, nel senso dell’attuale evoluzione umana.

 

È passato il tempo in cui si teneva celato ciò che favoriva l’evoluzione delle anime,

come ci si comportava in antico per l’indagine spirituale.

In tempi antichi era severamente proibito comunicare le cose occulte.

Anche oggi chi conosce questi segreti della vita (e non sono pochi) non li palesa.

 

Chi li ha ricevuti come semplice discepolo da un altro maestro,

sotto tutti gli aspetti farà male a comunicarli a sua volta!

Oggi è consigliabile comunicare soltanto ciò cui si è pervenuti da sé,

che si è indagato da sé. Ciò può e deve servire a tutta l’umanità.