Stili architettonici, espressione dell’evoluzione umana: tempio greco, duomo gotico, tempio del Gral, Goetheanum

O.O. 194 – La Missione di Michele – 13.12.1919


 

Ieri ho parlato delle relazioni tra la scienza dello spirito antroposofìca e le forme del nostro edificio. Volevo indicare particolarmente che non si tratta di relazioni esteriori, ma che in un certo modo lo spirito che domina nella nostra scienza dello spirito è fluito in queste forme. Si deve attribuire un valore speciale all’asserzione che una reale comprensione, secondo il sentimento, di queste forme è una lettura del senso interiore presente nel nostro movimento. Vorrei oggi affrontare altri argomenti che si riferiscono all’edificio, in collegamento con i quali oggi o domani potrò esporre alcune cose importanti derivanti dall’antroposofia.

 

Considerando l’edificio, si vedrà che la sua pianta consiste di due cerchi interpenetrantisi, uno più piccolo e uno più grande, che posso tracciare schematicamente così alla lavagna (vedi disegno).

L’intero edificio è orientato da est ad ovest (nel disegno la linea est-ovest). Si constata che tale linea è l’unico asse di simmetria cui si riferisce tutto il resto.

Inoltre non abbiamo a che fare con una semplice ripetizione meccanica delle forme, come si trova solitamente in architettura, per esempio sempre con i medesimi capitelli, ma come ho spiegato ieri abbiamo un’evoluzione delle forme, uno sviluppo di forme successive derivanti da forme precedenti.

Per delimitare la galleria esterna, si trovano sette colonne a sinistra e sette a destra (vedi disegno). Ho già detto ieri che le colonne hanno basi e capitelli, sui quali si appoggiano i corrispondenti architravi, e tutti sviluppano le loro forme in una evoluzione progressiva.

Considerando con il sentimento questa pianta, si avrà semplicemente, nelle due circonferenze che si interpenetrano (ma lo si deve afferrare con il sentimento) come un accenno all’evoluzione dell’umanità.

 

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Ho già detto ieri che intorno alla metà del secolo quindicesimo si nota un’importante cesura nell’evoluzione. La « storia » in senso scolastico e in generale, non è che una fable convenue, perché non fa che annotare fatti esteriori, dai quali sembra che nei secoli ottavo o nono per gli uomini le cose stessero in sostanza come erano nei secoli diciottesimo o diciannovesimo.

Vi furono perfino storici moderni, per esempio Lamprecht, che affermarono essere un nonsenso il dire che la concezione e l’atteggiamento dell’uomo fossero differenti prima e dopo l’epoca suddetta. Nel presente siamo in una fase evolutiva che potremo comprendere solo se ci rendiamo coscienti che ci evolviamo verso l’avvenire con forze animiche particolari, e che le forze animiche che hanno compiuto il loro sviluppo fino al secolo quindicesimo, se anche continuano ad aggirarsi come spettri nelle anime umane (e vanno perdendosi), appartengono però a quanto tramonta, a quanto è condannato a essere abbandonato dall’evoluzione dell’umanità.

 

Dobbiamo sviluppare una coscienza per questo importante mutamento nell’evoluzione dell’umanità, soprattutto se dobbiamo trattare fatti che concernono l’umanità nel tempo presente e nel prossimo futuro.

Tali cose si manifestano specialmente là dove gli uomini vogliono tener conto in modo significativo delle loro sensazioni e dei loro sentimenti. Basta rammentare un fatto dell’evoluzione dell’architettura di cui ho già parlato, ma che vorrei di nuovo ricordare oggi, per mostrare con un esempio come procede l’evoluzione umana.

 

Consideriamo per esempio le forme di un tempio greco: come le si possono capire?

Solo avendo chiaro che tutto il pensiero architettonico del tempio greco era orientato

a fare di esso la dimora del dio o della dea, il cui simulacro vi era contenuto.

Tutte le forme del tempio greco sarebbero un’assurdità,

se non fossero considerate come l’involucro, la dimora del dio o della dea che doveva trovarsi all’interno.

 

Progrediamo dalle forme del tempio greco alle successive forme architettoniche più significative, e arriviamo al duomo gotico.

• Chi, entrando in un duomo gotico, avesse la sensazione di avere davanti qualcosa di conchiuso, di finito, non comprende le forme dell’architettura gotica, così come non capisce le forme del tempio greco chi non tiene conto del fatto che in esso è contenuta l’immagine del dio. Dobbiamo immaginare il dio nell’interno, e per capirne la forma esso deve appunto venir pensato all’interno del tempio; un tempio greco senza il simulacro del dio è infatti impensabile per chi abbia comprensione e sensibilità.

 

Anche un duomo gotico vuoto è qualcosa di impossibile per l’uomo dotato di sensibilità.

Il duomo gotico è completo solo quando è riempito di gente, quando la comunità vi è contenuta,

e in verità solo quando è pieno di uomini e si parla ad essi

in modo che lo spirito della parola domini sulla comunità o nei cuori degli uomini,

solo allora il duomo gotico è completo: la comunità ne fa parte, altrimenti le sue forme non sono comprensibili.

 

Che genere di evoluzione ci si presenta dal tempio greco al duomo gotico?

Tutte le altre forme sono in sostanza solo forme intermedie, checché ne dicano dubbie interpretazioni storiche. Che evoluzione abbiamo dunque? Considerando la civiltà greca, questa fioritura del quarto periodo postatlantico, dobbiamo dire: nella coscienza greca restava ancora qualcosa della vita di potenze spirituali divine tra gli uomini, e questi si comportavano in modo da costruire dimore ai propri dei che si potevano raffigurare solo in immagine. Il tempio greco era la dimora del dio o della dea, e si aveva la coscienza che essi si aggirassero tra gli uomini. La posizione del tempio nella civiltà greca non sarebbe pensabile senza tale coscienza della presenza di potenze spirituali divine.

Se ora procediamo dalla fioritura della civiltà greca al suo declino verso la fine del quarto periodo postatlantico, dunque verso l’ottavo, il nono, il decimo secolo dopo Cristo, giungiamo alle forme dell’architettura gotica, promosse dalla comunità. Tutto corrisponde alla vita di sentimento degli uomini di quel tempo. Essi erano in una disposizione d’animo naturalmente diversa da quella che fioriva nel pensiero greco.

 

Non vi era alcuna coscienza della presenza diretta di potenze spirituali divine che erano trasferite in un lontano al di là. Il regno terrestre era in modi diversi accusato di essere il luogo della caduta di potenze divino-spirituali. Si considerava l’elemento materiale come qualcosa da evitare, da cui distogliere lo sguardo, per rivolgerlo invece verso le potenze spirituali. Ogni uomo cercava nell’unione con gli altri uomini entro la comunità (in certo modo ricercando lo spirito di gruppo dell’umanità) il dominio dello spirito il quale aveva con ciò acquistato un certo carattere astratto. Ecco perché le forme gotiche fanno un’impressione più astratta e matematica in confronto alle forme architettoniche greche, dall’effetto più dinamico, che accolgono e avvolgono il dio o la dea.

 

Nelle forme gotiche tutto tende all’alto, tutto rimanda alla ricerca,

nelle lontananze spirituali, di quello di cui l’anima ha sete.

• Per il greco il suo dio o la sua dea erano presenti; egli ne sentiva per così dire il sussurro con l’orecchio dell’anima.

• All’epoca del gotico invece, l’anima nostalgica poteva presentire il divino solo in forme tendenti all’alto.

 

L’umanità, nella disposizione dell’anima, era diventata anelante, costruiva sull’anelito, sull’anelito, sulla ricerca, credendo di poter esser più felice in questa ricerca se si riuniva in comunità, ma era sempre convinta che l’elemento spirituale-divino non fosse qualcosa che si trova tra gli uomini, ma che si nasconde in substrati misteriosi.

Quando si voleva esprimere ciò cui si aspirava ardentemente, che si ricercava ardentemente, si poteva farlo solo allacciandolo in qualche modo al mistero. L’espressione per tutta questa disposizione animica degli uomini di quel tempo è il tempio o il duomo, le cui forme tipiche, possiamo dire, sono quelle del duomo gotico.

Ma quando d’altra parte ci si voleva avvicinare nella visione spirituale al sublime mistero cui si anelava, al momento in cui ci si voleva elevare dal piano terreno a quello sopraterreno, si doveva passare dal puro elemento gotico a qualcosa d’altro che coinvolgesse ora non la comunità fisica, bensì l’intero spirito dell’umanità riunito nell’aspirazione comune, ovvero facesse tendere insieme gli spiriti delle anime umane aspiranti verso un centro misterioso.

 

Se ora immaginiamo la totalità delle anime umane affluenti da tutte le direzioni del cielo, abbiamo in qualche modo l’umanità di tutta la Terra riunita qui nel mondo in un grande duomo; allora non lo si pensava gotico, per quanto dovesse avere il senso del duomo gotico. Tali cose nel medioevo venivano collegate con la Bibbia.

Se poi ci si immagina che i settantadue discepoli (non c’è bisogno di pensare a una storia fisica, ma alla spiritualità che a quei tempi permeava interamente la concezione fisica), se dunque immaginiamo, come lo si sarebbe fatto secondo lo spirito di quel tempo, che i settantadue discepoli del Cristo si fossero diffusi in tutte le direzioni del cielo per infondere in tutte le anime lo spirito che doveva confluire nel mistero del Cristo, in tutto quanto rifluiva dalle anime di coloro in cui ciò era stato trasmesso dai discepoli del Cristo, nei raggi che arrivano da queste anime, venendo da tutte le direzioni del cielo, abbiamo quello che l’uomo del primo medioevo pensava nel modo più complessivo e universale come tendente al mistero.

 

Non occorre che disegni tutti i settantadue raggi ma li accennerò soltanto (vedi disegno). Immaginiamo che siano settantadue pilastri dai quali provengono i raggi da tutta l’umanità e tendono verso i misteri del Cristo. Se cingiamo il tutto con una parete di un qualunque tipo (non sarebbe proprio gotica, ma ho già detto perché non ci si fermò strettamente al gotico) una parete a pianta circolare, e immaginiamo tutt’attorno i settantadue pilastri: avremo così il duomo che in qualche modo comprende l’intera umanità. Immaginiamolo orientato da est a ovest, e avremo naturalmente una pianta del tutto diversa da quella del nostro edificio che è composto da due cerchi intersecantisi. Là sensazione che si prova di fronte a questa pianta deve essere un’altra, e ho cercato di descrivere con uno schizzo tale sensazione. Si pensi che le linee orientative dell’edificio descritto dallo schizzo abbiano forma di croce, e si pensi che gli ambulacri principali siano disposti secondo la forma a croce.

 

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Così l’uomo del medioevo si immaginava il suo duomo ideale. Se nel disegno abbiamo l’est e l’ovest, risultano poi il nord e il sud: vi sarebbero tre porte a nord, sud e ovest, mentre a est vi sarebbe una specie di altare principale, e presso ogni pilastro starebbe un altare laterale.

 Ma nel punto d’incrocio dei due bracci della croce dovrebbe stare il tempio dei templi, il duomo del duomo: lì ci dovrebbe essere il compendio del tutto, una ripetizione in piccolo dell’intero. Potremmo dire all’incirca nell’astratto linguaggio moderno: qui dovrebbe esserci un tabernacolo per il sacramento, della stessa forma del tutto.

 

Immaginiamo questo schizzo realizzato in uno stile architettonico vicino soprattutto al gotico, ma che racchiuda in sé varie forme romaniche, con l’orientamento che ho indicato, e con questo abbiamo uno schizzo del tempio del Gral, come lo pensava l’uomo del medioevo; era in certo modo l’ideale architettonico nell’epoca che si avvicinava alla fine del quarto periodo postatlantico, un duomo in cui confluivano le nostalgie di tutta l’umanità tesa al Cristo, così come nei singoli duomi confluivano le nostalgie dei membri della comunità, e come si sentivano congiunti gli uomini nel tempio greco, anche se non vi si riunivano, poiché il tempio greco richiedeva che nel suo interno stessero solo il dio o la dea e non gli uomini; dunque come i greci abitanti in un territorio si sentivano congiunti al loro dio o dea, mediante il loro tempio.

 

Se vogliamo parlare in modo conforme ai fatti possiamo dire che quando il greco parlava del suo legame con il tempio descriveva la cosa circa nel modo seguente: di un uomo qualunque della Terra, diciamo pure di Pericle, diceva: « Pericle abita in questa casa », e questa frase non indicava che chi la pronunciava avesse una relazione di proprietà o di altro genere con la casa, ma che si sentiva come congiunto con Pericle, dicendo: Pericle abita in questa casa. Proprio con la stessa sfumatura di sentimento il greco avrebbe espresso la sua relazione con quanto si poteva leggere nello stile architettonico, dicendo: Atena abita in questa casa, che è la dimora della dea, oppure: Apollo abita in questa casa.

 

La comunità medioevale non poteva dire la stessa cosa del suo duomo, perché questo non era la dimora dell’entità spirituale divina, ma era la casa che in ogni suo particolare formale esprimeva il fatto di essere il luogo di riunione nel quale si disponeva l’anima al mistero divino. Ecco perché nel « tempio originario » della fine del quarto periodo postatlantico, nel centro vi era il tempio dei templi, il duomo del duomo. Dell’insieme si poteva dire: entrando qui, ci si può elevare ai misteri dell’universo. Nel duomo si doveva entrare. Del tempio greco bastava dire: ecco la dimora di Apollo, ecco la dimora di Pallade. Al centro del tempio primordiale, là dove si incrociavano le braccia della croce, era custodito il santo Gral.

 

Ecco come si devono seguire gli stati d’animo che caratterizzano i singoli periodi storici, altrimenti non si impara a riconoscere quanto è veramente avvenuto; e anzitutto senza tale maniera di considerare le cose non si imparano a conoscere le forze animiche che emergono nel tempo attuale.

Dunque il tempio greco racchiudeva il dio o la dea, e di loro si sapeva che erano presenti tra gli uomini. Non era questo il sentimento dell’uomo medioevale: egli sentiva il mondo terreno abbandonato da Dio, e provava l’anelito verso la via per ritrovare gli dei o Dio.

 

Oggi siamo solo agli inizi, poiché non sono passati che pochi secoli

dalla grande svolta della metà del secolo quindicesimo.

• La maggior parte della gente non si accorge di quello che si schiude,

ma qualcosa si schiude e cambieranno le anime degli uomini.

• Deve cambiare anche ciò che deve fluire di nuovo nelle forme nelle quali s’incorpora la coscienza del tempo.

È certo che tali fatti non si possono indagare con l’intelletto, razionalmente: si possono solo sentire o osservare artisticamente; chi vuole ricondurli a concetti astratti non li comprende affatto.

Ma si può accennare ad essi con caratterizzazioni diverse: si può dire così che i greci sentivano in certo modo il dio o la dea come contemporanei, come viventi fra gli uomini.

L’uomo medioevale aveva il duomo: esso non serviva come dimora di Dio, ma doveva essere la porta aperta sulla via che conduceva al divino. Gli uomini si riunivano nel duomo per fare le proprie scelte traendole dall’anima di gruppo; è caratteristico per tutta l’umanità medioevale di aver qualcosa che è comprensibile solo con l’idea dell’anima di gruppo.

 

L’uomo singolo, individuale non si affermò fino alla metà del secolo quindicesimo,

come avvenne invece dopo quella data.

• Da allora in poi diventa essenziale nell’uomo la tendenza ad essere un’individualità,

a raccogliere forze personali, individuali, a trovare in certo modo un centro in se stesso.

Non si può comprendere quello che sorge nelle più diverse aspirazioni sociali del nostro tempo,

se non si conosce questo dominare dello spirito individualistico in ogni singolo uomo,

questo volersi basare di ogni singolo su se stesso.

 

Per questo però qualcosa diverrà particolarmente importante per l’uomo nel periodo che si è iniziato con la metà del secolo quindicesimo e che terminerà solo verso il quarto millennio: qui entra qualcosa di molto importante per questa epoca, perché si rimane piuttosto nel vago quando si dice: ogni uomo tende a una sua speciale individualità.

Lo spirito di gruppo, anche quando comprende piccoli gruppi, è qualcosa di assai più comprensibile di quello a cui l’uomo aspira, partendo dalla sorgente primordiale della propria individualità. Ecco perché sarà di particolare importanza per gli uomini moderni comprendere quella che si può definire la ricerca dell’equilibrio tra i poli opposti.

 

• Uno dei poli spinge a mettersi al di sopra di se stessi; porta a tutto ciò che conduce l’uomo a essere fanatico, fantasioso, illuso, a colmarsi di stimoli mistici indefiniti verso qualche vago infinito, a realizzarsi come panteista o teista o qualcosa di simile, come oggi avviene spesso.

• L’altro polo è quello della freddezza, dell’aridità, detto in modo banale, ma non irreale rispetto allo spirito del tempo presente, anzi in modo veramente reale; è il polo della pedanteria, della piccineria, il polo che ci attira verso la Terra, nel materialismo.

Questi due poli di forza sono nell’uomo e tra di essi sta l’essere umano che deve cercare l’equilibrio. In quante maniere si può cercare l’equilibrio? Possiamo rappresentarcelo di nuovo con l’immagine della bilancia (vedi disegno). In quante maniere si può dunque cercare l’equilibrio tra due poli che tendono in direzioni opposte?

 

Se su uno dei piatti della bilancia ci sono cinquanta grammi oppure cinquanta chili e sull’altro altrettanti, si ha l’equilibrio. Così se su un piatto della bilancia ce un chilo e un chilo anche sull’altro piatto, c’è pure l’equilibrio, e lo stesso se ce n’è mille su uno e mille sull’altro.

 

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Si può cercare l’equilibrio in infinite maniere, ciò che corrisponde alle infinite maniere di essere individui.

Ecco perché è essenziale per l’uomo attuale rendersi conto

che il suo essere consiste nel tendere verso l’equilibrio tra poli contrapposti.

L’indeterminatezza nella ricerca dell’equilibrio è appunto quella di cui ho parlato dianzi.

Per questo l’uomo del tempo presente può riuscire nella sua ricerca, se egli si appoggia sull’aspirazione all’equilibrio.

 

• Come per il greco era importante sentire che nella comunità in cui viveva agiva Pallade o Apollo, che il tempio era la dimora di Pallade oppure di Apollo, come per l’uomo medievale era importante sapere che vi era un luogo di riunione che racchiudeva qualcosa, fossero reliquie di santi, o il santo Gral stesso, un luogo nel quale chi vi si riuniva, poteva elevare le aspirazioni dell’anima verso l’indefinito pieno di mistero, così

• è importante per l’uomo moderno sviluppare una sensibilità per quello che egli è quale individuo;

come individuo egli è infatti un ricercatore dell’equilibrio tra due forze opposte, tra due forze polari.

 

Si può esprimerlo animicamente dicendo: da un lato agisce la tendenza dell’uomo a voler levitare al di sopra del suo capo, al fanatismo, al fantasioso, a ciò che sviluppa bramosia, senza curarsi delle reali condizioni dell’esistenza. Come si può animicamente caratterizzare in questo modo uno degli estremi, così si può definire l’altro estremo nel senso che esso spinge verso la Terra, l’aridità, l’arido intellettualismo e così via.

 

Esprimendosi fisiologicamente si può anche dire:

• un polo è quello in cui il sangue si riscalda fino a divenir febbrile;

dal punto di vista fisiologico un polo è quello che si connette con le forze del sangue.

• L’altro polo è quello connesso con l’ossificazione, con la pietrificazione dell’uomo,

con ciò che al limite porterebbe alle diverse forme di sclerosi.

 

Appunto tra la sclerosi e la febbre, poli estremi radicali, l’uomo deve mantenere anche fisiologicamente il suo equilibrio. In fondo, la vita consiste nella ricerca dell’equilibrio tra freddezza, aridità, pedanteria e fanatismo, fantasticheria. Siamo sani nell’anima quando troviamo l’equilibrio tra fanatismo, fantasticheria e aridità, pedanteria. Siamo sani nel corpo se riusciamo a vivere in equilibrio tra febbre e sclerosi-ossificazione. Può avvenire in infinite maniere e in ciò può vivere l’individualità.

In questo l’uomo moderno deve sentire l’antico motto apollineo: « Conosci te stesso ». Però non astrattamente, ma « conosci te stesso nel tendere all’equilibrio ».

 

Ecco perché poseremo nella parte est del nostro edificio l’opera che può dare agli uomini la sensazione di tale, aspirazione all’equilibrio, cioè il gruppo ligneo menzionato ieri che ha come figura centrale il Cristo; si è cercato di raffigurarlo in modo che si possa affermare: così all’inizio della nostra era si è realmente aggirato in Palestina il Cristo nella persona dell’uomo Gesù di Nazaret.

Le immagini convenzionali del Cristo con la barba sono creazioni del quinto, sesto secolo, e se posso servirmi di questo termine, non sono ritratti fedeli. Ho cercato di creare un ritratto fedele del Cristo, nello stesso tempo il rappresentante dell’uomo che cerca e che aspira all’equilibrio (vedi disegno).

 

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In questo gruppo si vedranno delle figure duplici: in alto Lucifero che precipita e a sinistra Lucifero tendente all’alto. Sotto, collegata in qualche modo con Lucifero una figura arimanica, e più sotto ancora una seconda figurazione di Arimane. In mezzo il rappresentante dell’umanità, posto tra la figura arimanica, pedante, vuota, arida, materialistica, e la figura di Lucifero, fanatica e fantasiosa.

 

• La figura di Arimane: tutto ciò che conduce l’uomo alla pietrificazione, alla sclerosi;

•la figura di Lucifero:

rappresentante di tutto ciò che porta l’uomo febbrilmente al di sopra della sana misura che può sopportare.

• Così, dopo la posizione mediana del duomo gotico,

che non racchiude simulacri ma le reliquie di santi o anche il santo Graal,

comunque qualcosa che non è legato con un essere che si muova attorno alla chiesa,

si ritorna indietro, vorrei dire, a un edificio che ha la funzione di racchiudere,

ma che adesso racchiude l’entità umana nel suo tendere all’equilibrio.

 

Se il destino lo vorrà e se un giorno il nostro edificio sarà completato, chi siederà in esso, nel contemplare l’entità che dà un senso all’evoluzione terrena avrà direttamente davanti a sé ciò che gli suggerisce di dire: ecco l’entità del Cristo. Ma tutto deve venir sentito artisticamente.

Il Cristo non può venir almanaccato con l’intelletto: deve venir sentito.