Subito dopo la morte la vita appena trascorsa ci appare come in un grande quadro.

O.O. 157a – Formazione del destino e vita dopo la morte – 16.11.1915


 

Sommario: La continuità della co­scienza dell’io. Subito dopo la morte la vita appena trascorsa ci appare come in un grande quadro.

 

Abbiamo spesso sottolineato

che per avere un’idea del nostro io nella nostra vita animica per l’esistenza fisica,

un’idea che non si interrompa dopo che si è stabilita a due, tre o quattro anni di età,

dobbiamo tornare al punto fino al quale risalgono i nostri ricordi.

 

In persone nelle quali il filo dell’io per così dire si interrompe, interviene un disturbo nell’equilibrio animico. Esistono persone del genere e ho già fatto presente che esse hanno una grave malattia mentale. Avviene che una persona sia d’improvviso strappata dal legame con il suo io: non si ricorda più della vita vissuta fino ad allora. Va magari alla stazione e compera un biglietto verso una località qualsiasi. L’intelletto gli funziona bene, e in tutte le stazioni intermedie fa tutto quanto è necessario in modo corretto, ma non ricorda più ciò che era stato prima. La sua vita interiore arriva fino al punto in cui aveva deciso di acquistare un biglietto e di fare il viaggio; viaggia nel mondo, e l’intelletto è del tutto in ordine. Arriva poi un momento in cui sa di nuovo di essere “lui”; prima la vita dell’anima era scomparsa per quanto riguarda la memoria. L’intelletto è in ordine, ma la memoria è spenta. L’io è cioè strappato, e il soggetto soffre di una grave malattia mentale.

 

Conobbi un tale, in una posizione relativamente elevata, che fu colpito d’improvviso da quella malattia. Dopo aver dimenticato del tutto chi fosse, ebbe di colpo l’impulso a viaggiare. Viaggiò infatti alla cieca per il mondo da un posto all’altro, e si ritrovò a Berlino in un ospizio per senza tetto. Là ritornò in sé: tu sei chi sei! Il tempo intermedio era vissuto in modo ragionevole, ma non si accordava con il rimanente della sua vita. La malattia lo colpì una seconda volta, e in seguito si suicidò in uno stato di coscienza in cui la memoria si era di nuovo staccata dall’io.

 

Come nella vita fra nascita e morte l’io deve essere un filo ininterrotto,

e in nessun momento della vita diurna deve essere spezzata la possibilità

di ricordare tutto quanto si svolse dall’istante della fanciullezza al quale si risale con la memoria,

così deve anche essere nella vita fra morte e rinascita.

 

Anche allora dobbiamo sempre avere la possibilità di conservare il nostro io.

Tale possibilità ci viene data

perché i primi periodi dopo la morte si svolgono appunto come spesso li abbiamo descritti.

 

Il primissimo periodo dopo la morte

si svolge in modo da avere davanti a sé la vita appena trascorsa come in un grande quadro.

• Durante alcuni giorni si vede la propria vita trascorsa,

ma sempre in modo che tutta sia per così dire presente contemporaneamente.

• La si ha davanti a sé come in un grande panorama.

 

Osservando tuttavia con maggiore precisione, risulta che quei giorni,

col loro sguardo a ritroso sulla vita passata, hanno già per così dire una certa sfumatura particolare.

• In un certo senso si osserva la vita in quei giorni dal punto di vista dell’io,

si vede in particolare tutto ciò a cui l’io fu partecipe.

• Intendo dire che si osservano i rapporti che si sono avuti con qualcuno,

ma li si vedono nella connessione in cui si è coscienti dei frutti che ci sono derivati dal rapporto con quella persona.

 

Non si vede cioè la cosa in modo molto obiettivo, ma tutto quanto diede frutti per noi stessi.

Ci si vede sempre nel punto centrale, ed è infinitamente necessario,

perché da quei giorni, in cui si vede che cosa è diventato fecondo per noi,

scaturisce la forza interiore che è necessaria in tutta la vita fra morte e rinascita

per poter conservare il pensiero dell’io.

 

Si ha infatti la forza di poter conservare l’io fra morte e nuova nascita

grazie a quanto si è osservato dell’ultima vita; da questo deriva in effetti tale forza.

Devo ancora sottolineare in modo speciale, anche se qui l’ho già detto,

che il momento della morte ha uno straordinario significato.

 

La morte, più di ogni altra cosa, ha due aspetti del tutto diversi fra loro.

• Vista da qui, dal mondo fisico, essa ha senza dubbio molti aspetti tristi e dolorosi.

È però così, perché qui la si osserva solo da un lato; quando si è morti, la si vede dall’altro.

Allora essa è l’evento di maggior soddisfazione e il più perfetto che in genere si sperimenti, perché là è un fatto vivo.

 

• Mentre qui la morte è la prova, anche per le nostre sensazioni e i nostri sentimenti,

di come sia caduca ed effimera la vita fisica umana,

• vista dal mondo spirituale essa è appunto la prova che lo spirito è sempre vittorioso

su tutto quanto non è spirituale, che lo spirito è sempre vita, vita imperitura mai estinta.

La morte è appunto la prova che in realtà essa non esiste, che è maya e parvenza.

• In questo vi è la grande differenza

fra la vita dalla morte a una nuova nascita,  e la vita qui fra nascita e morte.

 

Pensiamo che nessuno sia in grado di ricordare la propria nascita con i normali mezzi fisici di conoscenza.

Nessuno è in grado di dimostrare per sua esperienza la propria nascita, perché non l’ha vista.

La propria nascita è qualcosa che non può essere visto qui nella vita fisica;

è posta prima del momento dal quale ci si ricorda.

La nascita non ci è mai presente.

 

Invece la morte, e in questo si differenzia dalla nascita nel suo significato dopo la morte,

appare sempre all’occhio spirituale come il massimo, il più vitale, importante e perfetto evento

nel periodo fra morte e rinascita.

La morte è infatti ciò grazie a cui conserviamo la coscienza dell’io dopo la morte.

 

E come qui, nella nostra vita fisica, ci è impossibile ricordarci della nostra nascita,

così in tutto il tempo che trascorriamo nel mondo spirituale, nella vita fra morte e rinascita,

è necessario e naturale che sempre sia presente al nostro sguardo spirituale-animico

il momento in cui lo spirito si libera dal corpo.

 

Dalla morte infatti, rispetto a quanto abbiamo sperimentato qui,

fluisce la forza di cui abbiamo bisogno per sentirci un io.

 

Si vorrebbe dire che se non potessimo morire, non riusciremmo assolutamente a sperimentare un io spirituale.

Dobbiamo infatti alla circostanza di morire fisicamente la possibilità di sperimentare un io spirituale.

Questa è la situazione per il nostro io.

Esso viene rafforzato perché sperimentiamo i primi giorni dopo la morte in cui siamo ancora nel corpo eterico.

 

Poi il corpo eterico viene deposto,

e si sperimenta a ritroso la vita che possiamo chiamare

il passaggio dell’anima umana nel mondo delle anime,

una vita che è già più lunga di quella breve, di soli pochi giorni, che segue immediatamente la morte fisica.