Zaratustra potè agire su tutte le epoche successive, per il fatto di avere istruito due discepoli

O.O. 123 – Il Vangelo di Matteo – 02.09.1910


 

Zaratustra potè agire così profondamente su tutte le epoche successive, per il fatto di avere istruito due discepoli, dopo avere conseguito la più alta iniziazione possibile ai suoi tempi.

 

Ho già menzionato in altra sede questi due discepoli.

• Istruì uno di loro su tutto quanto si riferisce ai segreti dello spazio che ci circonda, cioè sui misteri di ciò ch’è simultaneo;

• all’altro discepolo insegnò invece tutti i segreti del tempo che scorre, i segreti dell’evoluzione.

 

Ho pure menzionato un fatto che può verificarsi, nel caso di un discepolato così speciale come quello che esisteva fra quei due e il loro maestro Zaratustra: il maestro può sacrificare parti della propria entità a favore dei discepoli.

E Zaratustra, quale era in quell’epoca, sacrificò infatti ai suoi due discepoli il proprio corpo astrale e il proprio corpo eterico.

 

Naturalmente la sua individualità, il suo nucleo essenziale rimase integro per le sue ricorrenti incarnazioni.

La sua veste astrale invece, entro la quale aveva operato in remotissime epoche dell’età postatlantica, era talmente perfetta, talmente compenetrata dalla natura intera di Zaratustra, da non andare dissolta come si dissolvono gli involucri astrali degli altri uomini.

 

Nel divenire universale può accadere che rimangano conservati tali involucri umani, tenuti insieme dalla particolare grandezza dell’individualità che li ha portati.

Così rimase conservato il corpo astrale di Zaratustra.

• Quello dei suoi due discepoli che aveva accolto da lui la sapienza dello spazio e i misteri di ciò che nello spazio sensibile coesiste simultaneamente, rinacque poi nella personalità che porta il nome di Thoth, ovvero Ermete degli Egizi.

 

• Questo discepolo reincarnato di Zaratustra, destinato (come insegna la saggezza occulta) a diventare l’Ermete egizio, o Thoth, non solo doveva consolidare in sé quanto aveva ricevuto da Zaratustra in una precedente incarnazione, ma potenziarlo anche mediante l’acquisizione del corpo astrale conservato di Zaratustra, che gli fu incorporato nei modi propri dei sacri misteri.

Questo discepolo di Zaratustra rinacque dunque come l’inauguratore della civiltà egizia, e rinacque dotato del corpo astrale di Zaratustra.

Nell’Ermete egizio troviamo dunque presente in realtà uno degli elementi costitutivi dell’entità di Zaratustra; grazie a questo, oltre a quanto aveva riportato con sé del suo discepolato antico, Ermete potè operare le grandi imprese che stanno a fondamento della civiltà egizia.

 

Naturalmente perché potesse realizzarsi tutto quanto fu operato da questo messaggero di Zaratustra, occorreva che ci fosse un popolo adeguatamente predisposto. E ciò che aveva da seminare Ermete, il discepolo di Zaratustra, potè trovare un terreno fertile soltanto presso quelle popolazioni che erano migrate dall’Atlantide lungo il percorso più meridionale, prendendo poi dimora nelle regioni orientali dell’Africa: esse avevano conservato gran parte della loro chiaroveggenza atlantica. Si verificò allora l’incontro dell’anima del popolo egizio con quanto poteva essere offerto da Ermete, e da questo ebbe origine la civiltà egizia.

Fu davvero una civiltà singolarissima. Basta meditare su tutti i segreti che Zaratustra aveva rivelato al suo discepolo, intorno a ciò che coesiste simultaneamente nello spazio. Ermete lo aveva custodito come un prezioso tesoro, conservando in sé quanto di più importante Zaratustra aveva posseduto.

 

Abbiamo ricordato già molte volte ché uno degli aspetti più caratteristici della dottrina di Zaratustra era costituito dal fatto che egli mostrava ai suoi discepoli il corpo del Sole, il corpo fisico di luce del Sole, insistendo nell’insegnamento che quel corpo solare fisico non è che l’involucro esterno di una sublime entità spirituale. Zaratustra aveva dunque confidato al suo discepolo, il futuro Ermete, i segreti dell’entità che attraverso gli spazi sta a fondamento della natura intera, i misteri di ciò ch’è simultaneo, ma che procede nel tempo, di epoca in epoca, mostrandosi in modo nuovo ad ogni epoca.

 

Ermete dominava dunque nel suo sapere quello che promana dal Sole e che dal Sole prende le mosse per la propria ulteriore evoluzione. Ed egli potè immergere tale sapienza nelle anime provenute dalla popolazione atlantica, in quanto nel passato esse erano state in grado, per disposizione naturale, di percepire i misteri del Sole e di conservarne parte nella memoria.

Tutto si trovava infatti in continua evoluzione, sia Ermete stesso, sia le anime di coloro che dovevano accoglierne la sapienza.

 

• Diversamente stavano le cose per l‘altro discepolo di Zaratustra. Egli aveva accolto i segreti relativi al corso del tempo; perciò acquistò anche la nozione che entro l’evoluzione esiste un contrasto fra il vecchio e il nuovo, una polarità che provoca un urto, una contrapposizione. Zaratustra aveva però sacrificato anche a questo discepolo una parte della propria natura, e questi potè accogliere l’offerta sacrificale, al momento della sua rinascita.

 

Mentre dunque l’entità di Zaratustra rimaneva conservata, si separarono i suoi involucri; siccome però erano stati elaborati da un’individualità tanto grande e possente, non si disintegrarono, rimasero intatti.

Questo secondo discepolo che aveva ricevuto la sapienza del tempo (in contrapposizione a quella dello spazio), a un certo momento dopo la sua reincarnazione accolse il corpo eterico di Zaratustra che questi aveva appunto sacrificato, come aveva fatto per il suo corpo astrale. Questo discepolo reincarnato di Zaratustra non è altri che Mosè, al quale il corpo eterico conservato di Zaratustra venne incorporato nella più tenera età infantile.

 

Nei testi religiosi veramente fondati sull’occultismo si ritrova tutto quanto ci può additare i segreti che la ricerca occulta appunto ci insegna.

Se Mosè era il discepolo reincarnato di Zaratustra e doveva assumerne il corpo eterico conservato, occorreva che egli passasse per una vicenda particolarissima.

Prima che la sua individualità potesse ricevere, come ogni altro uomo, le impressioni del mondo esterno, dovette essere inoculata in lui la mirabile eredità ricevuta da Zaratustra.

Questo è il significato del racconto simbolico che leggiamo nella Bibbia: il fanciullo venne posto in una cassettina e questa affidata al fiume; è come una singolare iniziazione.

 

Caratteristica di ogni iniziazione è che un uomo rimanga per qualche tempo isolato dal mondo esterno, e che in quel periodo gli venga instillato ciò che egli deve ricevere.

Appunto mentre Mosè si trovava così separato dal resto del mondo, a un certo momento potè venirgli incorporato l’eterico conservato di Zaratustra.

Per effetto di questo potè poi svilupparsi in lui la meravigliosa sapienza del tempo che in un remoto passato Zaratustra gli aveva trasmessa; adesso egli se ne ritrovò dotato e fu capace di esporla in immagini adatte al suo popolo.

 

Ecco perché nell’opera di Mosè incontriamo le grandiose immagini del libro Genesi, sotto forma di immaginazioni esteriorizzate della saggezza del tempo, proveniente da Zaratustra. Esse rappresentano il rinato sapere, la rinata saggezza che Mosè aveva ricevuta da Zaratustra; questa si trovava ormai consolidata nella sua interiorità, per il fatto che gli si era unito l’involucro eterico di Zaratustra.

 

Perché si possa verificare un processo tanto importante per l’evoluzione umana non basta però che un iniziato intervenga come fondatore di una nuova corrente di civiltà; occorre anche che il germe di civiltà possa da lui venire immerso nel popolo adatto. Ma per poter prendere in considerazione il germe, il terreno etnico nel quale Mosè potè immergere quanto aveva ricevuto da Zaratustra, è opportuno occuparci prima di una certa particolarità della sapienza di Mosè.

 

Abbiamo veduto ch’egli era stato in un’incarnazione precedente discepolo di Zaratustra: aveva allora acquistato la sapienza del tempo, nonché il segreto al quale abbiamo accennato, ricordando come in ogni epoca un elemento più antico si scontri con uno più recente, creando in tal modo un contrasto.

Perché Mosè potesse inserirsi con questa saggezza nell’evoluzione dell’umanità, occorreva ch’egli stesso assumesse, con la sua peculiare sapienza, entro l’evoluzione una posizione di contrasto con la sapienza di natura differente ch’era propria di Ermete. E questo difatti avvenne.

 

Possiamo affermare che Ermete abbia ricevuto da Zaratustra la saggezza diretta, per così dire la saggezza solare, il sapere di ciò che misteriosamente vive entro l’involucro esterno della luce, del corpo del Sole, e che opera per via diretta.

Mosè invece aveva acquistato una saggezza diversa che l’uomo non conserva più nel suo corpo eterico divenuto più denso, né nel suo corpo astrale.

Si tratta di quella saggezza che non si rivolge più solo vero l’alto, verso ciò che fluisce dal Sole, ma che comprende anche quanto si contrappone alla luce solare, all’ardore solare; qualcosa che (pur non lasciandosene sopraffare), elabora quanto proviene dalla Terra, quanto è divenuto denso, terrestre, quanto nella Terra è invecchiato e indurito, cioè una saggezza che, pur vivendo entro la sapienza solare, è pur sempre sapienza terrena.

 

Mosè possedeva dunque i segreti del divenire terrestre, del modo in cui l’uomo si evolve sulla Terra e in cui la sostanzialità stessa della Terra si va evolvendo dopo la separazione del Sole dalla Terra.

Se ora consideriamo la cosa non superficialmente, ma in profondità, scopriamo che proprio per quelle differenze le dottrine di Ermete si presentano in così netto contrasto con la saggezza di Mosè.

 

Esistono certo, al giorno d’oggi, alcuni modi di vedere che si regolano secondo il criterio che di notte tutti i gatti sembrano grigi! C’è infatti chi scorge dappertutto le analogie, e va in sollucchero quando rintraccia somiglianze fra l’ermetismo e il mosaismo: ecco per esempio in entrambi i sistemi un ternario, ecco in entrambi un quaternario. Ma questo modo di procedere non porta molto lontano; sarebbe come chi volesse iniziare qualcuno alla botanica, mostrandogli solo ciò che la rosa e il garofano hanno in comune, e non ciò che li distingue. In questo modo non si progredirebbe di molto.

Dobbiamo apprendere in che cosa le diverse entità si distinguano le une dalle altre, e così pure i diversi tipi di sapienza: per esempio dobbiamo imparare che la sapienza di Mosè era radicalmente differente da quella di Ermete.

Entrambi provenivano certo da Zaratustra; ma proprio come l’unità si scinde e si manifesta poi in modi diversi, così Zaratustra dette a due dei suoi discepoli rivelazioni del tutto differenti.

 

Se prendiamo seriamente in considerazione la saggezza di Ermete, vi troviamo tutto quanto ci illumina il mondo e ce ne addita l’origine e come vi opera la luce. Ma nella saggezza di Ermete non troviamo i concetti che ci mostrino anche come nel corso del divenire gli elementi più antichi agiscano in quelli più recenti, come quindi il passato entri in conflitto col presente e come la tenebra si contrapponga alla luce.

In fondo, la saggezza ermetica non contiene nulla di terrestre, nulla che ci renda comprensibile come la Terra si sia evoluta con l’umanità dopo la separazione dal Sole.

Questa fu invece la missione propria della sapienza mosaica: rendere comprensibile all’uomo la Terra dopo la sua separazione dal Sole.

Mosè dovette portare sapienza terrena, Ermete sapienza solare.

 

Quindi in Mosè si illumina il divenire terrestre, l’evoluzione terrestre dell’uomo, per effetto di quanto egli, Mosè, aveva appreso da Zaratustra. Egli prende le mosse da quanto è terrestre; il terrestre peraltro si è a suo tempo separato dal Sole e in certo modo racchiude in sé, attenuato, l’elemento solare; il terrestre va poi a sua volta incontro al solare e con esso si incontra. Per questa ragione la sapienza terrestre di Mosè dovette in realtà incontrarsi concretamente con la sapienza solare di Ermete: le due correnti dovettero incontrarsi.

 

Questo dato di fatto ci viene mirabilmente descritto, anche esteriormente, nel racconto dei contatti fra l’iniziato Mosè e il mondo della saggezza ermetica. Mosè nacque in Egitto, dove il suo popolo si era trasferito, e in Egitto avvenne lo scontro fra il popolo di Mosè e quello egizio, il popolo di Ermete: in tutti questi fatti si trova il riflesso esteriore dell’urto fra la sapienza solare e la sapienza terrestre, entrambe derivate da Zaratustra, ma ormai fluite in due correnti evolutive del tutto diverse, destinate però a cooperare e a incontrarsi.

 

Ora, la saggezza derivata dai metodi dei misteri si esprime sempre in un modo ben particolare circa i segreti più profondi degli eventi umani e cosmici. Già a Monaco, parlando su La Genesi, ho messo in evidenza quanto sia arduo esprimersi in termini usuali, quando ci si trova di fronte a queste alte verità che abbracciano non soltanto i segreti più profondi dell’uomo, ma anche le realtà cosmiche nel loro complesso. Le parole di cui ci serviamo abitualmente rappresentano dei veri vincoli, in quanto esse possiedono il loro significato comune, fissato da lungo tempo. E quando cerchiamo di ricorrere al linguaggio per esprimere i profondi contenuti che si rivelano alla nostra anima, s’incontrano gravi difficoltà a causa della debolezza e inadeguatezza dello strumento espressivo di cui dobbiamo servirci.

 

La maggiore banalità espressa nel secolo scorso e anzi nel corso di tutta la civiltà moderna, e ripetuta innumerevoli volte, è che qualsiasi verità schietta si debba poter esprimere in modo semplice, e che il linguaggio rappresenti con le sue espressioni addirittura il criterio per affermare che qualcuno possieda oppure no una qualsiasi verità. Questa sentenza però esprime solo il fatto che chi la usa non è in possesso della verità stessa, ma solo delle verità trasmesse per secoli per mezzo del linguaggio e formulate solo in modo un po’ diverso. Per chi è di quel parere, il linguaggio abituale è sufficiente, ed egli non si renderà conto delle difficoltà che in certi casi si debbono superare; e queste difficoltà saranno grandissime quando si tratti di esprimere contenuti molto elevati e ardui.

 

Già a suo tempo, durante quel ciclo di conferenze di Monaco, feci rilevare come una tale dura lotta con il linguaggio si rese necessaria nella creazione del mio mistero drammatico La porta dell’iniziazione, verso la fine della prima scena. Ciò che in quel passo lo ierofante dice al discepolo potè essere espresso nel debole strumento del linguaggio solo in minima misura.

 

Poiché nei sacri misteri antichi venivano recati ad espressione proprio i segreti più profondi, vi si fu sempre consapevoli di quanto sia debole lo strumento del linguaggio, e quanto inadeguato a fornire le immagini adatte a quello che si voleva veramente dire. Da ciò scaturì in ogni tempo nei misteri la ricerca dei mezzi di espressione per le esperienze dell’anima. Fra tutti si rivelarono i più deboli e meno adeguati quelli che si usano da secoli tra gli uomini per i rapporti esteriori. Adatte risultarono invece le immagini che si possono ricavare dalla contemplazione dello spazio infinito: le costellazioni, il sorgere di un certo astro in un dato momento, la congiunzione fra due astri in un altro momento. Immagini di questo tipo si rivelarono dunque come idonee ad esprimere certe esperienze che si svolgono in determinati modi nell’anima umana. Vorrei brevemente chiarire di che cosa si tratta.

 

Supponiamo che in un certo momento dovesse verificarsi un evento importante, per esempio che un’anima umana divenisse proprio allora matura per fare un’alta esperienza e comunicarla ai popoli; oppure che si volesse esprimere che un certo popolo, o addirittura gran parte dell’umanità, avesse raggiunto un determinato grado di maturità, di evoluzione, e come una data individualità si inserisse in quel popolo, magari provenendo da tutt’altra parte.

 

In questo caso veniva dunque a coincidere il culmine evolutivo di quell’individualità col culmine dello sviluppo dell’anima del popolo, e si voleva appunto esprimere nella sua eccezionalità quella coincidenza. Tutto quanto, in una simile circostanza, si poteva esprimere in parole non sembrava abbastanza possente per effondere nel sentimento umano il significato di tali eventi. Perciò lo si esprimeva così: il coincidere della massima forza di una singola individualità con la massima forza di una singola anima di popolo equivale alla posizione del Sole nella costellazione del Leone e all’irraggiarsi da lì della sua luce. Si ricorreva dunque all’immagine del Leone, per esprimere nella forza di esso un evento dell’evoluzione umana. Quanto si mostrava esteriormente nello spazio cosmico, diveniva mezzo per esprimere gli eventi dell’umanità. Da quella parte dunque si attingeva per trovare le espressioni atte ad essere usate per la storia umana: si traevano dal corso degli astri e con esse si esprimevano i fatti spirituali dell’umanità.

 

Di fronte a un’espressione come quella che il Sole si trova nel segno del Leone, ossia di fronte alla designazione simbolica tratta dal moto degli astri, di un evento della storia umana, può ben darsi che certi spiriti un po’ grossolani dei nostri giorni interpretino i fatti alla rovescia, affermando che nell’antichità tutti i fatti della storia venissero camuffati mitologicamente da eventi astronomici. In realtà non si faceva che esprimere con immagini tratte dai rapporti fra gli astri quanto si svolgeva nell’umanità. La verità è sempre l’opposto di quello che certa gente crede!

 

Questo rapporto col cosmo dovrebbe riempirci di un senso di venerazione nei confronti di tutto quello che ci viene raccontato sui massimi eventi della storia umana e che è stato appunto espresso con le immagini tratte dall’esistenza cosmica. Vi è però davvero un nesso segreto fra l’intera esistenza del cosmo e quanto si svolge sul piano del divenire umano.

• Ciò che avviene sulla Terra è un’immagine riflessa di quanto si svolge nell’universo.

 

In questo senso anche l’incontro della sapienza solare di Ermete con la sapienza terrestre di Mosè, quale avvenne in Egitto, riflette certi rapporti cosmici. Se immaginiamo che dal Sole si irraggino verso la Terra determinati influssi, e che altre azioni ed influssi si esplichino invece dalla Terra verso lo spazio cosmico, non sarà indifferente in quale punto dello spazio tali reciproci influssi si incontrino; a seconda che essi si incontrino in punti più vicini o più lontani, sarà diverso pure l’effetto dell’incontro di quelle azioni irradiate.

 

Ora, nei misteri dell’antico Egitto si era soliti rappresentare l’incontro della saggezza di Ermete con quella di Mosè, paragonandolo a un evento passato che ci è ben noto dalla nostra cosmologia antroposofica. Sappiamo che in origine ebbe luogo la separazione fra il Sole e la Terra, in seguito alla quale la Terra rimase per un certo tempo ancora congiunta con la Luna; e che più tardi una parte della Terra si è ulteriormente separata allontanandosi nello spazio e formando la Luna attuale. La Terra ha dunque per così dire rimandato nello spazio una parte di sé, sotto forma della Luna, l’ha rimandata in direzione del Sole. In qualche modo corrispondente a questa irradiazione della Terra verso il Sole fu il singolare evento dell’incontro della saggezza terrestre di Mosè con la saggezza solare di Ermete.

 

• Nel suo ulteriore sviluppo la saggezza mosaica assunse il carattere di una scienza della Terra e dell’uomo (cioè appunto di una sapienza terrestre) che però accolse la saggezza proveniente in modo diretto dal Sole e se ne compenetrò. Doveva peraltro assorbirla solo fino a un certo punto, per poi procedere da sola e svilupparsi in modo autonomo. Per questa ragione la saggezza mosaica rimase in Egitto solo fino a quando ebbe accolto a sufficienza quanto le occorreva; poi avvenne l’esodo dei figli di Israele dall’Egitto affinché potesse venire assimilato e sviluppato indipendentemente quanto la saggezza terrestre aveva accolto della sapienza solare.

 

Dobbiamo quindi distinguere due fasi entro la sapienza mosaica:

• una, durante la quale questa si sviluppa in seno alla sapienza ermetica, circondata e nutrita di continuo da quest’ultima;

• poi essa se ne separa e dopo l’esodo dall’Egitto continua a sviluppare nel proprio seno in modo autonomo i frutti della sapienza ermetica, passando per tre tappe successive.

 

In quale direzione doveva svilupparsi la sapienza mosaica? Qual era il suo compito?

• Il suo compito era quello di ritrovare la via verso il sole, dopo essere divenuta saggezza terrestre.

Mosè nasce munito di quanto gli aveva donato Zaratustra e come tale è un iniziato ai segreti della Terra.

Egli deve ritrovare la via del ritorno ai segreti del Sole, e ricerca questa via attraverso diverse tappe, durante la prima delle quali egli s’impregnò della saggezza di Ermete, per poi svilupparsi oltre.

E ancora una volta saranno immagini di eventi cosmici a consentirci di comprendere nel modo migliore le esperienze fatte da Mosè lungo quel cammino.

 

• Quando gli eventi che si compiono sulla Terra irradiano i loro effetti verso il cosmo, incontrano per primo sulla via verso il Sole il pianeta Mercurio. Ci è noto infatti che quello che l’astronomia chiama Venere, nella terminologia occulta porta il nome di Mercurio, e viceversa.

Dunque partendo dalla Terra verso il Sole s’incontra dapprima la sfera di Mercurio, poi quella di Venere e infine quella del Sole.

Mosè aveva dunque il compito di sviluppare quanto aveva ereditato da Zaratustra, attraverso determinate esperienze interiori dell’anima in modo da potersi poi ricongiungere con l’elemento solare. La saggezza da lui impressa alla civiltà terrena doveva svilupparsi nel modo adeguato alle doti del suo popolo. Perciò la sua via fu questa: di sviluppare in modo nuovo sulla via del ritorno, dopo avere accolto parte della saggezza di Ermete, questa saggezza che promana dal Sole per via diretta, come per irradiazione.

 

Si tramanda che Ermete (il quale più tardi ebbe il nome di Mercurio) abbia portato al suo popolo l’arte e la scienza, il sapere esteriore, le arti, nella forma che al suo popolo era consona.

In modo diverso e per così dire opposto, Mosè stesso dovette progredire fino alla tappa della civiltà di Ermete-Mercurio, elaborandone a ritroso la saggezza. Questo ci viene raffigurato nella storia del popolo ebraico fino all’epoca e al regno di Davide, il regale salmista, il profeta divino, che operò come uomo di Dio non meno che come guerriero e come musico. Egli ci viene descritto quasi come l’Ermete, il Mercurio del popolo ebraico.

Ecco che la corrente rappresentata dal popolo ebraico è qui giunta alla tappa che corrisponde a una civiltà ermetica, o mercuriale, autonoma. Si potrebbe dire che nell’età davidica la saggezza ermetica accolta dal popolo di Mosè era pervenuta fino alla regione di Mercurio.

La saggezza di Mosè doveva però procedere più oltre, sulla sua via di ritorno verso il Sole, fino alla sfera di Venere, per così dire.

 

Dall’ebraismo la regione di Venere fu raggiunta quando la saggezza mosaica, fluita per secoli, dovette congiungersi con un elemento del tutto diverso, con una corrente proveniente si può dire dalla parte opposta.

Come ciò che dalla Terra viene riflesso verso il cosmo incontra a un certo punto della sua via verso il Sole la sfera di Venere, così la saggezza mosaica s’incontrò, durante la deportazione babilonese, con un elemento spirituale che irradiava dall’altra parte dell’Asia.

Durante la cosiddetta cattività babilonese la saggezza del popolo ebraico, sviluppata fino allora in un suo modo caratteristico, s’incontrò con una spiritualità che si manifestava in modo attenuato nei misteri di Babilonia e di Caldea.

 

Come un viandante che fosse partito dalla Terra, conoscendone i segreti, e dopo avere attraversato la regione di Mercurio fosse giunto alla sfera di Venere, per ricevervi la luce del Sole nel modo che corrisponde appunto a Venere, così la saggezza derivata da Mosè accolse nei misteri e nelle scuole di sapienza dei Caldei e dei Babilonesi quanto era derivato direttamente dai santuari di Zaratustra, però in forma attenuata.

Questo fu dunque quanto la saggezza mosaica ricevette durante la cattività babilonese, e con cui si congiunse là, sulle rive del Tigri e dell’Eufrate.

Ed ecco che accadde anche qualcosa d’altro.

 

Mosè si era dunque incontrato con quanto era un tempo promanato dal Sole: cioè non Mosè personalmente, ma la saggezza da lui donata al suo popolo confluì direttamente con l’elemento solare coltivato nei luoghi che i savi degli Ebrei dovettero frequentare durante la prigionia in Babilonia.

In quel tempo infatti lo Zaratustra reincarnato insegnava nei santuari dei misteri, nella regione del Tigri e dell’Eufrate. Zaratustra stesso si era reincarnato all’incirca in quel tempo e insegnava in quei luoghi, egli che aveva profuso una parte della sua sapienza, per accoglierla ora nuovamente.

Sappiamo che egli si reincarnava sempre di nuovo, e in quel tempo col nome di Zarathas o Nazarathos divenne il maestro degli Ebrei deportati in Babilonia e che laggiù vennero in contatto con quei santuari.

 

In tal modo, nel corso della sua evoluzione, la saggezza mosaica venne a contatto con Zaratustra stesso, quale era divenuto dopo essere passato dalle sedi di misteri più remote ai santuari del Vicino Oriente.

Qui egli divenne il maestro degli iniziati caldei, ma anche di coloro che adesso li ricevettero da lui una fecondazione della loro saggezza mosaica: precisamente da parte della corrente dalla quale tanto aveva in passato ricevuto il loro progenitore e maestro Mosè, e alla quale essi stessi potevano ora attingere direttamente, ascoltando Zaratustra medesimo, nella sua incarnazione come Zarathas o Nazarathos.

 

Ecco dunque quali furono i destini della saggezza mosaica: essa aveva tratto le sue origini da Zaratustra, poi era stata trasferita in una regione straniera.

Fu come se un essere solare fosse stato trasferito sulla Terra con gli occhi bendati,e dovesse poi cercare a ritroso tutto quanto aveva perduto.

 

Mosè era dunque stato discepolo di Zaratustra; nella sua esistenza in seno alla civiltà egizia, tutto quanto Zaratustra gli aveva un tempo trasmesso si illuminò nuovamente nella sua anima.

Ma fu come se egli avesse ignorato la provenienza di quella saggezza, isolato come si trovava nell’ambiente della Terra.

E così si mise in cammino, incontro a quello che un giorno era stato Sole!

 

In Egitto andò incontro alla saggezza ermetica che recava quanto proveniva da Zaratustra, in via diretta, non indiretta come nel caso di Mosè.

E quando ne ebbe accolto a sufficienza, la corrente della saggezza mosaica continuò a svolgersi in modo diretto.

 

Nell’età di Davide fondò un ermetismo diretto, una propria scienza e una propria arte, andando in tal modo incontro al Sole dal quale aveva preso le mosse, ma in forma tale che per un certo tempo il vero suo aspetto ne rimase celato.

Nelle sedi d’insegnamento di Babilonia, dove egli fu maestro anche di Pitagora, Zaratustra potè istruire i suoi discepoli soltanto nel modo adeguato al suo corpo di allora, poiché si è sempre condizionati dagli strumenti di cui si dispone.

Perché Zaratustra potesse esprimere la pienezza dell’elemento solare (che aveva propugnato nel passato, trasmettendola poi a Ermete e a Mosè) in una forma nuova, adeguata al progresso dei tempi, egli doveva disporre di un involucro corporeo che fosse uno strumento degno della sua rinnovata missione e a sua volta adatto ai tempi nuovi.

 

Quello che Zaratustra potè trasmettere a Pitagora, ai dotti ebrei e ai sapienti caldei e babilonesi nel sesto secolo avanti Cristo, laggiù in Babilonia, era condizionato dal corpo di cui poteva disporre in quel tempo e in quel luogo.

In quella circostanza, l’insegnamento di Zaratustra si svolse veramente come se la luce del Sole fosse intercettata da Venere e non potesse raggiungere direttamente la Terra; la sapienza di Zaratustra si mostrò allora dapprima in forma attenuata, e non nella forma sua propria.

Perché la saggezza di Zaratustra potesse operare nella sua forma più completa, occorreva infatti che quella grandissima individualità si rivestisse di un corpo adatto: e tale corpo perfettamente idoneo potè originarsi solo in un modo molto speciale…